La campagna “Denaro pubblico? Codice pubblico” della Free Software Foundation Europe (FSFE) sbarca anche a Bologna. Alle 18.00 di mercoledì prossimo, 8 giugno, nei locali della Fondazione Duemila di piazza dell’Unità 4, infatti, verrà presentata la brochure, recentemente tradotta in italiano, con cui si spiegano le buone ragioni affinché il software libero venga adottato e utilizzato negli enti pubblici.
All’evento prenderanno parte l’assessore comunale all’Agenda Digitale Massimo Bugani, la responsabile UI Servizi applicativi e Dati del Comune di Bologna Pina Civitella, Lela Guidi della Fondazione Innovazione Urbana, Marco Trotta di Coalizione Civica e il traduttore di FSFE Raul Masu.

Software libero negli enti pubblici: la tappa a Bologna

«Con questa brochure la Free Software Foundation Europe si vuole attivare presso gli amministratori di tutta Europa rispetto ai benefici dell’utilizzo del software libero nelle pubbliche amministrazioni – spiega ai nostri microfoni Trotta – Noi la presenteremo a Bologna sia per fare il punto della situazione nella nostra città, sia per avviare un’interlocuzione tra Comune e FSFE».
La fondazione, nello specifico, ha l’obiettivo aiutare persone e organizzazioni a comprendere come il software libero contribuisca alla libertà, alla trasparenza e all’auto-determinazione.

Per quanto riguarda nello specifico gli enti pubblici, il software libero può giocare un grande ruolo di sicurezza e trasparenza. «Se vogliamo prenotare un viaggio, acquistare un biglietto o accedere ad un servizio online del Comune di Bologna – esemplifica Trotta – utilizziamo un software. Sapere com’è fatto questo software, avere accesso al suo codice, rende possibile conoscere se rispetta alcuni diritti fondamentali dell’individuo, quelli che Stefano Rodotà chiamava diritti di terza generazione, come quello alla privacy, alla sicurezza, a sapere che i miei dati personali vengono conservati nella maniera migliore possibile e non ceduti ad altri».

Al contrario, molti software in circolazione oggi sono “chiusi”, cioè è impossibile avere accesso al loro codice e verificare il rispetto dei nostri diritti. E con la pandemia il problema è potenzialmente peggiorato, visto il massiccio ricorso a software per videoconferenze ed altre applicazioni online.
Le notizie che si susseguono negli ultimi tempi su attacchi di pirateria informatica, anche dall’estero, con furto di dati personali, dunque, espongono tutte e tutti noi a pericoli di sicurezza.
«Il software libero è anche più sicuro», sottolinea Trotta, aggiungendo un ulteriore beneficio all’utilizzo dell’open source da parte degli enti pubblici.

Il consigliere di Quartiere di Coalizione Civica è stato molto attivo nei gruppi bolognesi di software libero e con lui abbiamo colto l’occasione per fare un bilancio di come Bologna si stia muovendo su questo tema.
«A Bologna abbiamo cominciato bene verso la fine degli anni Zero – osserva – Da quel momento in poi sono cambiate diverse cose, in sostanza è cambiato il paradigma tecnologico». In particolare, tutto il lavoro fatto all’inizio del millennio sul software libero si basava su applicazioni pensate per i desktop pc, ma a partire dal 2005, con l’arrivo di smartphone, tablet ed altri supporti, è arrivato il cosiddetto cloud, cioè i nostri dati non sono solo sul nostro computer, ma sono soprattutto in rete.

«Prima non sapevamo che ci potevano essere delle cose che mettevamo in tasca e che potevano fare foto, geolocalizzarci o farci vedere mappe – continua Trotta – Anche il Comune, quindi, ha dovuto spostarsi sul cloud. Oggi quindi il tema non è solamente cosa è installato sul proprio computer, ma soprattutto ciò che è installato sui server che fanno girare i servizi che utilizziamo».
Di qui, dunque, la necessità di fare il punto sulle strategie pubbliche e il bisogno di conoscere il codice dei software utilizzati per tutelare tutti gli utenti, cioè le cittadine e i cittadini.

ASCOLTA L’INTERVISTA A MARCO TROTTA: