Un trio di ragazzi di notevole spessore al Take Five, in un Bologna jazz Festival che mette radici in tanti luoghi della nostra città.     Ascoltato e visto per voi, recensione del concerto del Kenny Garrett Quintet in Sala Paradiso

Alessandro Lanzoni al BJF: la nostra recensione

Il ventiduenne pianista Alessandro Lanzoni, può già vantare un curriculum di tutto rispetto: non solo è stato segnalato dal Top Jazz 2013 figura emergente di spicco del jazz italiano, ma conta incontri musicali con artisti della qualità di Lee Konitz, Ambrose Akinmusire, Aaron Goldberg, Enrico Rava, Michael Blake e tanti altri protagonisti italiani e stranieri dell’attuale scena del jazz.

Forte di una solida cultura da conservatorio, con tanto di Laurea Specialistica in Composizione e Arrangiamento Jazz, può affrontare il set bolognese con la formazione in trio, combinazione impegnativa per i solisti sempre in primo piano. Al suo fianco infati troviamo Matteo Bortone al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria, antichi (si fa per dire, visto l’età di questi ragazzi) compagni d’avventura già di Siena Jazz, durante i due anni dell’International Jazz Master.

Ascoltato e visto per voi:

Kenny Garrett Quintet

Coinvolge e piacevolmente sconvolge l’energia di un quintetto che esplora le sonorità della black music con energia e gusto, esordio nel contesto della decima edizione del Bologna Jazz Festival per la Sala Paradiso di San Lazzaro con Kenny Garrett.
Musicista poliedrico e virtuoso, presente nei lavori più recenti di Miles Davis, con un gusto particolarmente legato alle diverse sfumature della Black Music.

Dai linguaggi più strutturati di un Modern mainstream Jazz maturo, al Funk passando per le sonorità Boogaloo e interpretando il Soul contenuto nello Spiritual Jazz più coltraniano. Forse azzardato, ma di certo attinente definire le sonorità del Kenny Garrett Quintet “Free Groove”

Questa immediata descrizione combacia con le caratteristiche della formazione, che ovviamente vede una linea ritmica intensa e ben coordinata, Rudy Bird raffinato percussionista, alla batteria l’energia poliritmica di Marcus Baylor e al contrabbasso con un timing rapido, e puntuale Corcoran Holt ,infine punto di collegamento un “McCoy Tyner” al piano che risponde al nome di Vernell Brown, ottimo esecutore e preciso interplay fra ritmica e melodia.

Kenny Garrett ai saxofoni tenore e soprano, inizia con scritture eleganti e dialoghi spontanei tutti contraddistinti da un linguaggio d’improvvisazione moderno, ma anche molto “Black“. Concede e richiama subito l’attenzione, fino a sfuggire abbandonando le regole e dedicandosi al Groove più facilmente reiterato e accattivante. Al soprano, strumento ostico da suonare, ma avvolgente all’ascolto si lascia a citazioni inequivocabilmente Spiritual Jazz, la formazione risponde perfettamente e le note tipicamente allungate fanno trasparire qualche rimando, non troppo velato, a una “My favorite things” palesemente Coltraniana, come coltraniane sono le citazioni e le sensazioni in questa parte di concerto.

Dicevo coinvolge e sconvolge, lo fa con le sonorità apertamente reiterate e Funky, richiama con un energico “handclapping” a mantenere il tempo, il pubblico stupito sembra chiedersi “ma allora ci si diverte ai concerti Jazz!….”  Non si torna indietro oramai si va verso una conclusione dove si balla, si canta e la formazione del Kenny Garrett Quintet si alterna in energici e accattivanti Funky Groove tipici degli anni ’70.

Come era facilmente intuibile, un’altra caratteristica si aggiunge al Kenny Garrett Quintet, un aspetto imprevedibile è nelle loro sonorità, e al Paradiso Jazz hanno confermato questa peculiarità. Un concerto particolarmente apprezzato da chi è cresciuto a pane e Salsoul, un concerto a 360° di Black Music in Jazz.

Si alzano le luci, si continua a suonare, e dal palco riecheggiano ancora le note Funk. Un intenso, e piacevolmente atipico esordio per la Sala Paradiso con il Kenny Garrett Quintet.

William Piana

Se vuoi leggere la recensione del concerto di Ron Carter

Ascolta l’audio del commento del critico Filippo Bianchi sullo storico Festival Jazz di Bologna (tratto dal film My Main Man)