Il miraggio del Jobs Act come volano dell’occupazione si infrange contro i dati dell’Inps: appena sono calati gli incentivi del governo si è registrato un crollo delle assunzioni a tempo indeterminato. In Emilia, dove va meglio che altrove, si registra un -52%. Le cessazioni superano le assunzioni, mentre crescono le forme precarie: dai contratti a tempo determinato ai voucher.

I “gufi” di cui parla il premier Matteo Renzi iniziano ad essere tanti, forse troppi. Al punto che forse non si tratta di gufare, ma di vedere una realtà che appare meno fiabesca di quella che dipinge il governo.
Dopo l’Istat, la Banca d’Italia e gli studi di ricercatori come Marta Fana, a mostrare le reali dinamiche del Jobs Act è anche l’Inps, che ha diffuso i dati sui contratti di gennaio.

Il periodo preso in esame è cruciale, perché coincide con la drastica diminuzione degli incentivi che lo Stato dava alle imprese per le assunzioni a tempo indeterminato. La fotografia che emerge corrisponde a quanto dicevano in molti, sindacati inclusi: diminuiti gli incentivi statali sono crollate le assunzioni a tempo indeterminato.
Nella regione Emilia Romagna, dove i dati sono migliori rispetto alla media nazionale, per fare un esempio, le piene assunzioni hanno registrato un -52%. Nel primo mese del 2016, in particolare, sono stati registrati 4618 nuovi contratti a tempo indeterminato, contro i 9587 dello stesso periodo del 2015.

A testimoniare che le aziende assumevano solo perché potevano beneficiare degli sgravi sono anche i dati sulle pratiche del dicembre 2015, ultimo mese disponibile per accedere alle agevolazioni, che hanno registrato un boom: 186mila contratti a tempo indeterminato attivati a livello nazionale. “Una corsa affannosa agli sgravi – osserva Marta Fana – A gennaio si sono distrutti posti di lavoro piuttosto che crearli, dal momento che le cessazioni superano le assunzioni”.

A crescere, invece, sono i contratti a tempo determinato e i voucher, che non hanno subito alcuna politica nuova dopo la liberalizzazione contenuta nello stesso Jobs Act, in particolare grazie all’innalzamento del tetto di reddito massimo percepibile per le prestazioni occasionali.
“Tutte le assunzioni fatte a dicembre, vista anche la crescita economica italiana – continua la ricercatrice – non trovavano nessun riscontro nell’economia reale e non rispondevano a una reale visione occupazionale”.

Ulteriori considerazioni vengono dall’analisi qualitativa del lavoro. A crescere è l’occupazione a tempo indeterminato con tutele crescenti – che la ricercatrice definisce “stabilmente precaria” – in settori di servizi a bassissima qualità, mentre la precarizzazione riguarda sempre più lavori ad alto contenuto professionale.
“Osserviamo quindi una stabilizzazione di un’economia che tende alla bassa qualità – sottolinea Fana – e la precarizzazione di quelle forme di lavoro che potrebbero contribuire ad un aumento qualitativo dell’economia”.

Infine la ricercatrice lancia un allarme: “In attesa del rapporto annuale sui voucher, c’è il dubbio che ormai investano anche settori come l’avvocatura o la medicina, che oltre a maggiore stabilità richiederebbero anche retribuzioni molto più alte“.