742 bolognesi, soprattutto giovani, nel 2015 hanno lasciato la città per trasferirsi all’estero. Lo riporta La Repubblica citando dati dell’Aire e dell’Ufficio Statistico del Comune. L’aumento è del 6,3% e denota una tendenza nazionale che si sta consolidando, anche sotto le Due Torri.

Anche se l’economia va meglio che altrove, con un tasso di disoccupazione generale al 7,7% contro il 12% della media nazionale e quello della disoccupazione giovanile al 30% rispetto all’oltre 40% italiano, sempre più bolognesi lasciano la città per andare all’estero. Lo riporta il quotidiano La Repubblica , che ha analizzato i dati dell’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) e dell’Ufficio Statistico del Comune.
Nel 2015 si è registrato un boom di partenze: 6,3% il balzo di chi lascia le Due Torri, pari a circa 742 persone che, aggiunte agli altri concittadini partiti in precedenza, fanno 16.206 bolognesi ormai residenti all’estero.

In realtà, il dato del 2015 non è il peggiore. Il picco di espatriati è stato raggiunto nel 2013, quando i bolognesi partiti sono stati 905. Tutti gli ultimi anni, quelli della crisi economica, hanno segnato una crescita dell’esodo. Dal 2007, infatti, i cittadini che hanno lasciato la città sono cresciuti sensibilmente e costantemente, mentre a partire dal 2011 fino ad oggi i numeri sono più che raddoppiati.
Le mete preferite sono il Regno Unito (che guida la classifica), il Brasile, gli Stati Uniti e la Francia, seguiti da Svizzera, Germania e Argentina.

Ad andarsene sono soprattutto i giovani. La media anagrafica dei bolognesi espatriati è di 39 anni, ma se si prendono in considerazione solo le destinazioni europee, la media si abbassa ulteriormente e sfiora i 30 anni.
Il dato non è così nuovo, come Radio Città Fujiko aveva segnalato già nell’inchiesta “Expat – Giovani italiani in fuga“. Quello che colpisce è che anche città un tempo attrattive come Bologna abbiano perso lo smalto del passato.

Sembra banale, ma chi se ne va lo fa perché non trova condizioni ideali nel luogo d’origine. E se ad andarsene sono soprattutto i giovani, ciò significa che l’Italia non è un luogo ideale per loro. Ne è convinto Alessandro Rosina, docente di Statistica all’Università Cattolica di Milano ed autore dei libri “Non è un Paese per giovani” e “L’Italia che non cresce. Gli alibi di un Paese immobile”.
Il docente, ai nostri microfoni, ha spiegato il problema rappresentato da una classe dirigente gerontocratica e della cronica mancanza di investimenti sia in termini quantitativi che qualitativi.