Dall’inizio della crisi i meccanismi che l’hanno generata sono ancora tutti in piedi, mentre le lobbies finanziarie tentano in modo ancora più aggressivo di condizionare le scelte della politica e dei governi. Biggeri (Banca Etica): “Il mercato dei derivati è arrivato ad essere 10 volte il pil mondiale”.

Al festival di Internazionale si parla di banche e finanza

A sette anni dall’inizio della crisi economica, la promessa di sanare le storture e le speculazioni della finanza che l’hanno generata è stata disattesa. Non solo i meccanismi perversi sono ancora tutti in piedi (“Il mercato dei derivati – rivela Ugo Biggeri di Banca Etica – è 10 volte il pil mondiale”), non solo si è spostata l’attenzione dal “Wolf of Wall Street”, per dirla alla Martin Scorsese, verso gli Stati, additati come se fossero i responsabili del crollo economico, ma le lobbies finanziarie cercano in modo ancora più aggressivo di condizionare le scelte di governi e istituzioni.
Di questo si è parlato in uno degli incontri del recente Festival di Internazionale, intitolato “La lobby più potente del mondo” e promosso da Banca Etica.

All’incontro hanno partecipato Ugo Biggeri (Banca Etica), Aline Fares (Finance Watch), Kenneth Haar (Corporate Europe Observatory), moderati dalla giornalista e scrittrice Nunzia Penelope.
Tra gli elementi più salienti, è emerso che le maggiori 50 multinazionali del pianeta hanno un controllo sostanziale dell’economia mondiale. Di queste, metà sono americane e i tre quarti sono costituiti da gruppi finanziari.
Una notizia che, presa da un’altra prospettiva, viene confermata dal Global Wealth Report 2014 del Credit Suisse, presentato ieri, che rivela come, nonostante la crisi, negli ultimi 14 anni i super ricchi sono triplicati raggiungendo in tutto il mondo il ragguardevole numero di 128.000.

Kenneth Haar, ricercatore danese che lavora per Corporate Europe Observatory – organizzazione che tenta di rendere esplicite le influenze che le lobby esercitano presso i policymakers e di limitarne l’influenza – ha sottolineato che l’aggressività delle lobby è molto cresciuta dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 nel contesto europeo. La cronaca dei provvedimenti adottati dagli organi legislativi dimostra come le lobby apportino correzioni, emendamenti e siano spesso gli unici organismi abbastanza organizzati e competenti da potere esprimere un opinione su argomenti tecnico-giuridici che le riguardino.

Un bel problema, a cui si tenta di dare una risposta attraverso la creazione di gruppi di esperti che possano analizzare le regolamentazioni richieste da mercato finanziario molto complesso. Per questo nel 2010, su richiesta di circa un terzo dei componenti della Commissione Europea è nato Finance Watch, di cui Aline Fares è esponente. Si tratta di un gruppo di influenza che annovera al suo interno ex-banchieri, ex-trader, ma anche lobbisti (ribattezzati “quelli buoni” durante il dibattito) la quale si propone di partecipare in modo indipendente al dibattito sulle policy in ambito finanziario. Secondo la Fares, quando la finanza assume una dimensione confrontabile con quella del pil di una nazione, si possono generare meccanismi distorti che portano ad un collasso econimico: nella situazione attuale il sistema finanziario europeo gestisce volumi 3-4 volte superiori al pil continentale e questo dà l’idea del livello di criticità della situazione.
Se questo è il livello su cui si muovono gli intermediari finanziari, si capisce l’intento ossessivo di fare lobbying in contesti legislativi e a farlo nella massima discrezione, lontano dai riflettori e dal pubblico dibattito.

In questo arido contesto si staglia l’esempio di Banca Etica, di cui Ugo Biggeri è presidente. Biggeri conferma che l’opinione pubblica non si fida dei mercati finanziari e che si tende a generalizzare considerando uguali tutti gli operatori che lavorano in ambito finanziario. Occorre una maggiore consapevolezza ed informazione per distinguere i colossi finanziari imbottiti di strumenti raffinati dalle banche che sostengono l’economia reale, e distinguere le “buone” dalle “cattive” lobby. In questo sforzo la comunicazione non ha aiutato particolarmente: si è passati dal criticare i banchieri al criticare i governi che tassano, anche se la fame di questi ultimi è spesso legata ai buchi lasciati dai primi.