“…Ora li riconoscete stì fascisti sté carogne
Se ne tornino alle fogne con gli amici che han laggiù…”

Se la logica dei “mercatisti”, così si definisce l’economista Mario Monti, avesse un senso, dovremmo candidamente ammettere che dopo il giovedi nero della borsa dovremmo varare una terza manovra da 45 miliardi di euro, ancora prima di avere approvato la seconda. Infatti solo in Europa si sono bruciati 300 miliardi di euro e Piazza Affari è stata quella ad andare peggio. Non basta mai. Dopo la terza manovra ne servirà una quarta, una quinta, e così via…

Peccato che la logica dei mercati non corrisponda alla logica e basta.

Le manovre di Berlusconi e Tremonti nulla servono contro l’attacco finanziario, ma infieriscono solo sui lavoratori italiani. E’ come quel medico che per curare la broncopolmonite taglia una gamba al paziente, salvo poi annotare che l’infezione ai polmoni continua. Quindi taglia anche il secondo arto al malato ma la febbre non cala, anzi. E’ la volta prima del braccio destro e poi di quello sinistro, però la polmonite cresce. -Qualcosa dovevo fare!- si giustifica il medico disonesto -l’importante è dare fiducia ai mercati. Un sacrificio di gambe e braccia poteva placare la fame degli speculatori…-. Improvvisamente quel mercato senza volto e senza cuore diventa una sorta di vitello d’oro a cui offrire agnelli sacrificali, una sorta di Moloch capriccioso, una dea Kalì assestata di sangue. La speculazione finanziaria abbandona l’economia ed entra nella mitologia.

In realtà ai mercati non importa nulla di essere rassicurati, convinti o blanditi. I mercati (o meglio gli speculatori come gruppi finanziari, banche ed agenzie di rating “indipendenti”) vogliono solo guadagnare. E’ l’economia di carta che vince su quella produttiva. Sono i ceti parassitari che divorano la ricchezza di chi lavora.

Cosa c’entra infatti l’attacco in Piazza Affari con l’affossamento dell’articolo 18?

Perché dovremmo privatizzare tutto il possibile per consegnare l’intero utile ad un giorno di bufera finanziaria?

Cosa serve allungare l’età pensionabile, tagliare il welfare, mettere in ginocchio comuni e regioni quando il monetarismo economico assomiglia più ad un branco di locuste che arriva, mangia tutto e se ne va?

Il dubbio è più che lecito: siamo forse alla sindrome delle “Torri Gemelle”, quando in omaggio alla paura vennero varate legislazioni che nulla servivano contro il terrorismo , ma che molto danneggiarono la democrazia.

A proposito di questa arriva anche la campagna contro i costi della politica, cavalcando lo sacrosanto sdegno popolare sull’affarismo della cricca e sui privilegi assurdi per chi fa politica di mestiere.

In nome “facciano sacrifici anche i politici!” si richiede: diminuzione drastica dei parlamentari (non dei loro stipendi…) con l’aumento verticale dei quorum elettorale per essere rappresentati nelle istituzioni.

Cancellazione ed accorpamenti oggi di piccoli comuni, provincie e domani magari di quartieri, con l’allontanamento sempre maggiore tra la popolazione e i centri decisionali dello stato. Ma si ribatte che dobbiamo abbattere la spesa pubblica… Una semplice domanda: quanto costa una paese di un qualche centinaio di anime? Nulla o quasi, visto che sindaci ed assessori fanno il loro mestiere praticamente gratis. E comunque tutte le loro competenze a chi devono essere trasferite nei costi e nelle funzioni?

Non sarà che con la sindrome delle Torri Gemelle qualcuno vuole cancellare la democrazia come “costo della politica”? Forse per questo si è proposto anche di fatto la cancellazione delle feste laiche come il 25 aprile e il 1 maggio con la motivazione di evitare i ponti? Ora fino a prova contraria chi va a fare il ponte utilizza i propri sacrosanti giorni di ferie e non ruba nulla a nessuno e poi l’unica vera conseguenza è un grave colpo all’economia del turismo con l’ennesimo effetto recessivo. Dicono che dobbiamo comunque alzare la produttività (spremere maggiormente la forza lavoro, ndr.) come se il problema italiano fosse quello di produrre più merci e non quello di vendere ciò che rimane nei magazzini!

Ma soprattutto perché mai dovrebbe essere di consolazione ad un pensionato con la minima, ad un senza tetto, ad un malato, ad un disoccupato sapere che gli onorevoli pagano di più la spigola al buffet parlamentare?

Una cosa però questo giovedì nero della finanza ha mostrato: il volto degli speculatori. La crisi del fine settimana è stata chiaramente decisa violentemente da quegli ambienti ostili alla Tobin Tax di cui finalmente si sta parlando: una tassa piccola piccola sulle transazioni veloci, quelle preferite dal mordi e fuggi delle locuste finanziarie. Forse una goccia nel mare, ma sufficiente a far venire fuori dall’anonimato quelli che fino a ieri si nascondevano dietro le incomprensibili regole del trading azionario: puntuali quelle banche che abbiamo salvato due anni fa spendendo 15 trilioni di dollari (15.000 miliardi di dollari, ndr) si sono dette assolutamente contrarie ad ogni museruola alla speculazione finanziaria.

Ma allora che fare?

Sul versante finanziario possiamo vietare le vendite allo scoperto, introdurre la Tobin Tax, comprare i titoli dei singoli stati aderenti all’Ue dalle banche centrali al tasso ufficiale dell’1,2 %. Su quello economico cancellare tutte le spese militari a partire da quello impegnato nelle guerre afgane e libiche, annullare spese disastrose come quelle destinate al Ponte di Messina o alla Tav in Val di Susa, organizzare sistemi di controllo efficaci per combattere corruzione e concussione, fare accertamenti fiscali veri sui grandi evasori e, perché no, chiedere indietro i fondi pubblici erogati alle aziende in crisi a salvaguardia dell’occupazione quando queste delocalizzano all’estero (cominciando dalla Fiat di Marchionne).

Non è una triste fatalità o il prodotto di un destino cinico e baro ciò che accade nel giovedì nero: è un feroce classismo interno ed internazionale contro le classi popolari. Dobbiamo imparare a difenderci.