Sulla crisi abitativa che colpisce tanto il nostro territorio quanto altre zone d’Europa qualcosa si muove in viale Aldo Moro. La Regione Emilia-Romagna, infatti, sta cercando di intervenire su un fenomeno che, da emergenza abitativa, secondo molti si è trasformato in crisi sistemica.
La questione è complessa e viene approcciata in diversi modi. Tra la giunta e l’Assemblea Legislativa regionale, in particolare, sono in fase di discussione ed elaborazione due distinte misure. Da un lato, infatti, ha cominciato il proprio iter una proposta di legge che mira a regolamentare gli affitti brevi turistici, dall’altro viene elaborato un piano casa regionale, del valore di 300 milioni di euro, per incrementare l’offerta di alloggi per l’affitto tradizionale.
Cosa prevede la legge sugli affitti brevi?
La necessità di regolamentare gli affitti brevi turistici è un cruccio su cui si interrogano diverse città italiane e su cui anche alcune Regioni in Italia hanno cominciato a legiferare.
Spesso gli amministratori locali hanno tirato in causa il governo nazionale, affinché approvi una legge per arginare un fenomeno fuori controllo, che ha sottratto migliaia di appartamenti per le famiglie in favore dei turisti, determinando anche un aumento dei prezzi degli alloggi rimasti sul mercato della locazione tradizionale.
Nel settore, inoltre, conquistano sempre più terreno società di intermediazione e corporation che fanno dell’affitto breve turistico un vero e proprio business.
Nella nostra Regione, di fronte all’inazione del governo nazionale, alcuni territori hanno cercato di utilizzare gli strumenti a disposizione per regolamentare gli affitti brevi e contrastarne la proliferazione.
Il Comune di Bologna, dove gli annunci sulle piattaforme di affitto breve hanno raggiunto le quattromila unità, ha utilizzato alcune leve urbanistiche per stabilire una soglia minima di metri quadrati sotto la quale non si possono affittare alloggi ai turisti e ha introdotto una nuova categoria catastale, che obbliga chi intende trasformare il proprio appartamento in alloggio turistico a cambiare la destinazione d’uso.
Anche la Regione conta di utilizzare la leva urbanistica per regolamentare gli affitti brevi, poiché è lo strumento che rientra nelle sue funzioni. «Lavoreremo a una norma urbanistica che dà ai Comuni il potere di istituire delle percentuali limitate di affitti brevi come destinazione d’uso – spiega ai nostri microfoni Simona Larghetti, consigliera regionale di Avs e relatrice della legge – Come già avviene per le attività produttive, commerciali o residenziali nelle città, si potrà stabilire la quantità nei quartieri, nelle strade o addirittura di un palazzo».
Lo strumento urbanistico, quindi, risponde a due obiettivi: da un lato dare ai Comuni la dimensione del fenomeno, cosa che oggi non avviene perché per mettere il proprio alloggio sul mercato degli affitti brevi turistici il proprietario non è costretto a passare dagli uffici comunali; dall’altro mettere nelle mani dell’Amministrazione la possibilità di pianificare quante destinazioni d’uso turistiche avere per singola zona, in modo da trovare un equilibrio che al momento non c’è.
Il punto controverso della legge: anche i Comuni possono praticare affitti brevi
A far storcere il naso a qualcuno, però, è un passaggio della legge che prevede che i Comuni possano mettere patrimonio residenziale pubblico sul mercato degli affitti brevi turistici per colmare il deficit alberghiero in alcuni territori.
Una misura che non piace a chi sottolinea come la carenza di offerta di alloggi pubblici, in particolare di case popolari, sia uno dei problemi che ha generato la crisi abitativa.
«In realtà la legge specifica una cosa che è già possibile grazie alla legge sugli usi temporanei – osserva la consigliera regionale – Dobbiamo immaginare che questa legge non esisterà solo per Bologna. Se la nostra e altre città soffrono di eccesso di Airbnb e di conseguenza di case sottratte al mercato degli affitti residenziali, altri territori, penso alle aree interne, dove ci sarebbe bisogno di incentivare un po’ di turismo e ravvivare l’economia».
Il piano casa della Regione Emilia-Romagna
La legge regionale per limitare gli affitti brevi dovrebbe operare in sinergia e complementarietà con il piano casa elaborato dalla giunta di viale Aldo Moro. Il piano, annunciato dall’assessore Giovanni Paglia, sarà finanziato con 300 milioni di euro, di cui 100 milioni di risorse del bilancio regionale e 200 milioni a debito, ma con la previsione che venga appianato dai canoni d’affitto generati dal piano stesso.
L’obiettivo è quello di riqualificare il patrimonio di edilizia residenziale pubblica (ERP) e di edilizia sociale (ERS) sfitto per azzerarlo e riassegnarlo rapidamente a lavoratori e lavoratrici a reddito medio e medio basso, rilanciando l’edilizia sociale.
Il piano prevede in particolare due linee di azione, la prima per offrire alloggi in locazione a prezzi accessibili, utilizzando prioritariamente gli alloggi sfitti del patrimonio abitativo pubblico (ERP), che non possono essere recuperati con le risorse normalmente disponibili, e che quindi non assolvono già ora alla funzione di soddisfare le richieste inevase nelle graduatorie per l’accesso. Questi alloggi saranno destinati temporaneamente alla locazione calmierata, in deroga alle regole dell’ERP, salvaguardandone la funzione sociale.
La seconda linea di azione punta a riqualificare i fabbricati ERP con particolare attenzione ad alleviare la povertà energetica e ridurre i consumi, e a superare le barriere architettoniche nonché ad aumentare l’offerta di edilizia residenziale pubblica e sociale nel territorio regionale.
Anche in questo caso, il provvedimento annovera dei critici, in particolare per la trasformazione di alloggi da edilizia residenziale pubblica (ERP), quindi destinati alle fasce più povere della società, a edilizia sociale (ERS), pensate per la fascia grigia, cioè la classe media che si sta impoverendo.
«Oggi c’è il problema dei costi delle ristrutturazioni – sottolinea Larghetti – Molti Comuni non avrebbero mai le risorse per ristrutturare quegli immobili, che già oggi sono vuoti, quindi non a disposizione della cittadinanza». Grazie ad affitti un po’ più alti rispetto alle case popolari, ma sostenibili rispetto al mercato, il pubblico potrebbe ridurre lo sfitto e rientrare dall’investimento della ristrutturazione.
ASCOLTA L’INTERVISTA A SIMONA LARGHETTI:







