Continuano le occupazione in Via Borgolocchi e Via Raimondi 41, organizzata dal collettivo universitario Luna e Adl Cobas la prima, e dal collettivo Plat la seconda. Si tratta di occupazioni che s’inseriscono nella scia di proteste e rivendicazioni per il diritto alla casa e all’abitare; diritto che a Bologna, dopo la fine o presunta tale della pandemia di Corona-Virus, a migliaia di persone è stato negato.
È dunque questo lo scopo delle due recenti occupazioni e di quelle organizzate, spesso dagli stessi collettivi, nei mesi passati: far sentire la propria voce e soprattutto offrire a chi da mesi cerca un tetto sopra la testa, una casa dove vivere (come era gia avvenuto in Casa Vacante, l’occupazione organizzate sempre dal collettivo Luna)

E in effetti a cogliere questa “proposta” sono state moltissime persone, spesso di nazionalità straniera e con figli. Sono 18, per esempio, i nuclei familiari nel condominio sociale di Via Raimondi 41 di cui 33 bambini e bambine, circa un centinaio di persone in totale. Infatti, a differenza delle occupazioni organizzate negli scorsi mesi, queste non si rivolgono principalmente a studenti e studentesse fuorisede, ingabbiati nella morsa degli affitti troppo cari, e delle rette altissime proposte dagli studentati privati; ma a lavoratori, studentesse e persone migranti che spesso, anche con un contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato, fanno difficoltà a trovare casa.

Casa, le storie di chi vive in occupazione perché viene escluso dal mercato immobiliare

È la storia di Aboubakar Diaby, originario del Senegal. In un post su Instagram pubblicato dalla pagina del collettivo Luna, Diaby racconta la sua storia. L’arrivo a Bologna il 6 febbraio, il lavoro in aeroporto, con un contratto regolare, per caricare e scaricare bagagli e soprattutto la difficoltà a trovare casa. «Ho chiamato anche il dormitorio ma non c’era posto, spesso faccio il turno di notte e stacco troppo tardi», ha spiegato Diaby, sottolineando anche un paradosso che è alla base della crisi abitativa che si vive in città. «Io carico e scarico i bagagli dei turisti, loro trovano casa e io no». E in effetti la causa principale che obbliga molte persone a dormire per strada o lasciare la capitala emiliana è proprio il turismo e l’enorme quantità di case destinate agli affitti brevi turistici. Circa 4.000, stando a un’indagine di Inside Airbnb.

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Ma Diaby non è l’unico in questa siuazione. La storia, infatti, è la stessa di Alex, 26 anni che lavora come falegname a Budrio e cerca casa da mesi. Una casa in realtà Alex l’aveva anche trovata, peccato si trattasse di una truffa, e chi cerca casa a Bologna le conosce bene. Oppure quella di Zakarya Bourjouane, pizzaiolo a tempo indeterminato che, nonostante questo, è da 6 anni che fa difficoltà a trovare casa. «Non so se è perchè sono marocchino – ha detto sempre in un post instagram Bourjouane – ma tanta gente non vuole affittare casa a stranieri». «Siamo più di 10 migranti con contratti a H.O.Me e la maggior parte di noi dormono in stada – continua Bourjouane – vogliamo che il Comune ci dia un’opportunità; non si può lavorare e andare a dormire in strada oppure dover lasciare questa città e il percorso che uno ha intrapreso». L’occupazione in via Borgolocchi si è posta, infatti, anche l’obiettivo di protestare contro il deceto Cutro che, per esempio con l’eliminazione della protezione speciale, ha messo ancora più in difficoltà persone migranti che già vivono una conizione di fragilità.

Comunque il Comune una soluzione ha cercato di trovarla. E’ stato presentato qualche settimana fa, infatti, il Piano Casa che, tra le varie cose prevede la realizzazione di un cohousing nell’edificio in Via Capo di Lucca 22, occupato in autunno dal collettivo Luna; e altri progetti di abitare collettivo nello stabile di Via Fioravanti 24, ex sede del collettivo XM 24, nell’ex Clinica Beretta, a Villa Celestina, confiscata alla criminalità organizata, e in Via Barontini 17. Eppure più volte Palazzo d’Accursio ha lamentato che è necessario un piano a livello nazionale, perchè le singole città, da sole, non possono affrontare questo problema così complesso e delicato.

Anche gli organizzatori delle occupazione si sono espressi a tal proposito. Secondo Adl Cobas «sono importanti le misure prese dall’amministrazione sul tema dell’abitare ma valgono, forse, al medio-lungo termine, mentre oggi proponiamo di dar voce a istanze che pongono nel qui e ora necessità tangibili e quotidiane di chi una casa non ce l’ha, pur avendo lavoro». E oltre alle storie citate in precedenza, questo è anche il caso di Giada, licenziata dopo essere rimasta incinta. «Ho sempre pagato l’affitto quando lavoravo. Poi mi hanno licenziato, ho pagato fino all’ultimo mese di disoccupazione, ma quando è finita non ho saputo più dove prendere i soldi». Giada il 29 aprile ha ricevuto uno sfratto dalla casa in cui vive con la madre e due bambini, ma grazie a Plat sono riusciti a rimandare lo sfratto al 9 maggio. O Sandra, sposata con un figlio di 5 anni e una di 2. «Siamo in Italia dal 2016 – ha denunciato in un post Ig sul profilo di Plat – ci hanno sfrattato nel 2022 e da allora non sono più riuscita a trovare casa. Io e mio marito lavoriamo, lui ha il contratto a tempo indeterminato e il permesso di soggiorno, ma non basta. Non so più dove andare».

Sofia Centioni