La notizia è circolata nei giorni scorsi e in Italia ha sollevato un polverone che ancora non si è posato, tra articoli di giornale, commenti sui social network e le analisi più disparate: la casa editrice Penguin ha deciso, per la propria collana “Puffin” di libri per l’infanzia e l’adolescenza, di cambiare alcuni termini utilizzati dallo scrittore Roald Dahl in alcune sue celebri opere. A risultare edulcorati sono vocaboli come “ciccione” o “grasso”, ma anche “brutto” e più in generale parole che si prestano al bodyshaming.

Come spesso avviene, nel nostro Paese si sono subito formati due schieramenti. Quelli contrari alla modifica, che in alcuni casi gridano addirittura alla censura, e quelli favorevoli, che sostengono che operazioni di questo tipo sono sempre avvenute – vedi ad esempio come le favore truculente dei fratelli Grimm siano arrivate “depurate” di alcuni particolari ai bambini italiani – e accusano la controparte di grassofobia o altri atteggiamenti discriminatori
Nel mezzo, a onor del vero, ci sono anche altre posizioni, ad esempio quelle che sottolineano come sia improprio modificare testi di autori morti, nonostante il favore degli eredi, o come sarebbe meglio contestualizzare senza operare modifiche.

L’editore indipendente, i libri per l’infanzia inclusivi e la polemica su Roald Dahl

Per avere un parere titolato ci siamo rivolti ad un editore indipendente che, nel proprio catalogo, annovera due collane di libri per l’infanzia. E non si tratta di libri qualsiasi, ma di opere che hanno proprio lo scopo di disegnare un immaginario diverso, inclusivo e non discriminatorio.
Si tratta di Momo edizioni, casa editrice romana, fondata da Mattia Tombolini, che si avvale anche della consulenza di Zerocalcare.

Tra le opere nel catalogo di Momo troviamo, ad esempio, troviamo “Ulissa”, che narra la storia di «una bambina speciale, coraggiosa, divertente e piena di vita. – si legge nella presentazione – Affronta la sua “normale” giornata piena di “normali” avventure, simili alle avventure che capitano a tutti i bambini di questo mondo». La novità è che «la storia di Ulissa è raccontata dal suo amico Penelopo che la aspetta a casa per fare i compiti insieme».
Basterebbe questa reinterpretazione dell’Odissea a far capire come Momo edizioni sul tema oggetto di discussione oggi si misura quotidianamente.

Mattia, che impressione ti ha fatto la polemica che è nata attorno ai libri di Roald Dahl e quanto è importante il linguaggio quando si parla di letteratura per l’infanzia?

«È una polemica delle tante, che si somma alle polemiche che ci sono sempre più spesso attorno al linguaggio, in particolare per la questione del politicamente corretto e della cancel culture. Secondo me si è sommata a quella roba lì, anche in parte impropriamente. E come capita spesso ultimamente, è diventata subito una questione di schieramenti tra chi è a favore e chi è contro, ma se è contro allora è quello che… Penso che la questione sia un po’ più sfumata e complicata di così.
Noi ci occupiamo di libri per l’infanzia e non solo, quindi il problema del linguaggio ce lo poniamo tantissimo. E proprio perché ci facciamo tante domande, ci chiediamo anche in che maniera i libri che facciamo possano essere più leggibili, comprensibili, possano avvicinare a dei contenuti che secondo noi sono fondamentali per “cambiare le cose”. Siamo convinti che si parla di certe tematiche a certe età, come la sessualità, l’identità di genere, ma anche il lavoro, la resistenza e le migrazioni, se se ne parla anche ai più piccoli, visto che i bambini si fanno tante domande e vogliono parlare anche di cose difficili, forse si possono prevenire dei grandi problemi culturali e sociali che ci sono dopo. Ovviamente per fare questo c’è un dibattito enorme e c’è una difficoltà, perché spesso la risposta che arriva dall’alto non fa i conti con la concretezza delle cose, del quartiere in cui vivi, delle fasce a cui ti riferisci».

Ma sulla questione specifica di Dahl?

«Penso che stia facendo tanto discutere il se è giusto o meno, ma questa cosa andrebbe pensata sui libri che si fanno adesso più che rivedere tutto ciò che è stato fatto. Credo che in questo caso ci sia un tipo di interesse che è un interesse di mercato, quindi bisognerebbe un po’ interrogarsi su quale sia l’interesse di questo specifico mercato. Qui c’è una piattaforma che interviene. Mi fa pensare all’ultima stagione di Boris quello che sta capitando».

Guardando il catalogo, Momo predilige i testi originali. Però per i tuoi colleghi editori è una pratica comune quella di edulcorare i testi di grandi classici per renderli più politicamente corretti?

«È una domanda difficile quella che mi fai. Nel mondo editoriale il testo è sempre frutto di un lavoro collettivo, ma anche di una mediazione che c’è tra l’autore, la redazione e anche quello che si aspetta anche il mercato di riferimento. Però questo è un lavoro che si fa a monte su ciò che si produce, che è un lavoro che immagino Dahl abbia fatto in sede di pubblicazione.
Sui testi più vecchi, quindi sulle riedizioni, che io sappia solitamente si tiene a mantenere l’opera così com’è. Cosa più complicata è se parliamo di traduzioni, visto che ci possono essere traduzioni molto diverse l’una dall’altra. Quindi è un dibattito che ci sta, è abbastanza articolato».

Prendendo spunto da una cosa che hai detto prima, però, mi pare di capire che sia meglio costruire nuovi immaginari.

«Per come la vedo io sì. Poi nello specifico Dahl è uno che ha lavorato sul linguaggio in maniera secondo me molto bella. Addirittura nel “Grande Gigante Gentile” si è inventato un lessico.
Io qua non so neanche quali siano i termini che nello specifico sono stati cambiati, però se si prende questa piega si dovrebbe adottare su tutto. Quindi per esempio si dovrebbe decidere che testi classici, come “I promessi sposi”, che non è che siano proprio politicamente corretti come storia, non debbano più essere proposti. E ci può anche stare che, a quel punto, qualcuno decida di non proporre direttamente più il testo invece di cambiarlo.
A questo punto è meglio investire sulla nuova letteratura, tenendo i classici come sono, fondamentalmente contestualizzandoli».

ASCOLTA L’INTERVISTA A MATTIA TOMBOLINI: