Internazionale traduce l’articolo confessione scritto da Josè Antonio Vargas, premio Pulitzer nel 2008, in cui il giornalista rivela la sua vita da immigrato irregolare di successo.
La storia è una di quelle che rivelano gli aspetti insieme migliori e peggiori del sogno americano. Da una parte un bambino filippino 12enne che viene mandato dalla madre a raggiungere i nonni in California con il segreto dei falsi documenti nascosti per anni, dall’altra la caparbietà e la certezza di raggiungere il proprio scopo: ottenere la cittadinanza facendo bene il proprio lavoro.
Questa in sintesi è la commovente storia che Josè Antonio Vargas racconta sul New York Times. Una storia fatta di escamotage e solidarietà per ottenere la patente, le tessera sanitaria, una borsa per il college e i primi lavori. Una storia di segreti vivere “passando le giornate nel terrore di essere scoperto”. Una storia certamente di fortuna e privilegi non comuni, ma tutti ottenuto con determinazione e il classico “in America chiunque ce la può fare”. Vargas riesce a coltivare la propria ambizione di fare il giornalista, nelle migliori e più competitive testate del paese, arrivando a far parte del team premiato con il Pulitzer per gli articoli sulla sparatoria all’Università Virginia Tech.
Ecco con quali parole descrive la decisione di confessare tutto pubblicamente.
Sono stanco di scappare. Sono esausto. Non voglio più fare questa vita. Così ho deciso di parlare, di confessare quello che ho fatto, di raccontare la mia storia per come me la ricordo. Sono andato dai miei ex datori di lavoro e ho chiesto scusa per averli ingannati, con un misto di umiliazione e liberazione ogni volta che confessavo. […] Non so quali saranno le conseguenze di questa confessione. Sono grato ai miei nonni, Lolo e Lola, di avermi dato la possibilità di una vita migliore. Sono anche grato alla mia altra famiglia, alla rete di solidarietà che ho trovato qui negli Stati Uniti, per avermi incoraggiato a realizzare i miei sogni.
Ora Vargas rischia il reimpatrio nelle Filippine, anche se il suo avvocato ritiene che un simile provvedimento venga eseguito solo per coloro che hanno commesso un crimine durante la permanenza in territorio statunitense.