Guadagnano mediamente il 14% in meno dei colleghi maschi e, per i contratti di sponsorizzazione, vengono inquadrate come modelle. La presenza delle donne all’interno dello sport è purtroppo contraddistinta dalle discriminazioni di genere che esistono anche nella società. E, oltre alle donne, anche le persone lgbtqia+ subiscono vere e proprie forme di violenza, come le offese omotransfobiche.
È quanto emerge dal lavoro del progetto Agas (All Gender are Sportive) ideato da Beatrice Dusio e Gaia Vivaldi e coordinato da Period Think Tank, per promuovere buone pratiche rivolte alla prevenzione e al contrasto degli stereotipi di genere nel mondo dello sport.

Il progetto Agas per contrastare le discriminazioni di genere nello sport

Il lavoro di Period Think Tank parte sempre dai dati, che come prevedibile sono scoraggianti. Secondo un’indagine condotta da Outsport, emerge che l’82% delle persone lgbtqia+ ha subito offese omotransfobiche in ambito sportivo. In Emilia-Romagna, solo il 36,6% dei tesserati sportivi sono donne, mentre a livello europeo le donne rappresentano appena il 13% degli allenatori. Inoltre, le donne ricoprono solo il 14% delle posizioni di vertice nelle Federazioni sportive degli Stati membri, con retribuzioni inferiori del 14% rispetto ai colleghi uomini. La cronaca recente ha evidenziato quanto sia urgente superare una visione binaria dello sport, come dimostrato dal caso della pugile algerina Imane Khelif, che ha scatenato proteste e disinformazione sull’inclusione di persone intersessuali nelle competizioni.

Il progetto Agas ha rivolto particolare attenzione alle comunità sportive delle aree interne e montane, dove le infrastrutture sono spesso carenti e le opportunità limitate. In questi contesti è stato svolto un ampio lavoro di formazione e sensibilizzazione, coinvolgendo sette associazioni sportive dilettantistiche in Emilia-Romagna, tra cui realtà operative a San Lazzaro, Monghidoro e Castenaso, oltre a Faenza, Parma e Vicenza.
I percorsi formativi hanno trattato temi come gli stereotipi di genere e il binarismo e hanno visto la partecipazione di allenatori, educatori, insegnanti e dirigenti scolastici. Al contempo, il progetto ha costruito reti di collaborazione con enti di promozione sportiva, introducendo carriere alias per favorire equità e rispetto delle identità non binarie.

Due eventi sportivi aperti alla cittadinanza e quattro talk pubblici hanno arricchito le attività di sensibilizzazione, offrendo momenti di dialogo con testimonial internazionali come Puma Camillè e Alessandra Chiricosta.
Oltre agli eventi, il progetto ha realizzato un monitoraggio tramite questionari e interviste rivolte a operatori sportivi, raccogliendo dati e analizzando le criticità attraverso un approccio femminista e l’analisi di impatto di genere.
Per raccontare il percorso svolto è stato anche realizzato un documentario, curato da Rita Bertoncini di Creative Mornings Bologna.

Grazie a questa attività di sensibilizzazione, dodici associazioni sportive dilettantistiche hanno aderito alla Carta Etica dello Sport della Regione Emilia-Romagna. Tuttavia, dalle informazioni raccolte emerge che, nonostante esista una diffusa sensibilità verso i temi della diversità, vi è ancora una limitata conoscenza di strumenti come la Diversity Charter.
«La pratica sportiva rappresenta un osservatorio privilegiato per analizzare il pregiudizio in un dato contesto culturale», spiega Beatrice Dusio. Eppure lo sport potrebbe essere uno educativo e sociale, capace di costruire un immaginario collettivo inclusivo.

ASCOLTA L’INTERVISTA A BEATRICE DUSIO: