Poco più di 1000 ettari consumati e il primo posto di Ravenna a livello nazionale. È il triste primato per il consumo di suolo in Italia che l’Emilia-Romagna si è “conquistata” proprio nell’anno dell’alluvione, quello tra il 2023 e il 2024. È quanto emerge dal rapporto di Ispra, intitolato “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” e pubblicato la settimana scorsa.
Viale Aldo Moro ha commentato che l’86% del suolo consumato in quell’anno è “reversibile”, cioè occupato da cantieri o fotovoltaico e che al contempo sono stati rinaturalizzati 143 ettari. Ciononostante resta il tema della legge urbanistica regionale, presentata come a «consumo di suolo zero», che non ha affatto fermato il cemento.

Consumo di suolo, il primato nazionale dell’Emilia-Romagna

A tirare la volata per il primato di cui essere poco fieri è la città di Ravenna, quella più colpita dall’alluvione del 2023-2024. La città che allora era amministrata da Michele de Pascale, oggi presidente della Regione Emilia-Romagna, ha cementificato 84 ettari di terreno.
Nella classifica per province, però, altri capoluoghi dell’Emilia-Romagna hanno posizioni apicali. Nel ranking troviamo Rimini (12,6%), poi Reggio Emilia e Modena (entrambe poco più dell’11%). Piacenza è invece la provincia con il maggior dato di suolo consumato pro capite nel 2024, 700 metri quadrati.

«Nonostante quello che è successo, cioè le alluvioni, non solo l’Emilia-Romagna ha continuato a consumare suolo, ma lo ha pure incrementato», commenta ai nostri microfoni, dicendosi «basito», Gabriele Bollini, docente di Progettazione e Pianificazione sostenibile all’Università di Modena e Reggio Emilia e attivista di Legambiente.
Rispetto alla replica della Regione Emilia-Romagna, che suona come una giustificazione, Bollini precisa: «È vero che la nostra regione è al primo posto per rinaturalizzazione, ma si consideri che solo il 5% del suolo consumato viene restituito alla natura e ai suoi servizi ecosistemici».

Per l’esperto ciò su cui bisogna anche prestare attenzione è il tipo di suolo consumato. In particolare, dei 1031 ettari cementificati nel periodo preso in considerazione, in Emilia-Romagna sono stati 721 quelli in aree a media pericolosità idraulica, che corrispondono all’incirca a quelle alluvionate, e 131 in aree tutelate a livello paesaggistico.
Altri aspetti su cui prestare attenzione sono le ragioni del consumo di suolo, prima fra tutte la realizzazione di poli logistici. «L’Emilia-Romagna ha 1052 ettari occupati da poli logistici, pari al 7% dell’intero territorio regionale», sottolinea Bollini.

Sul banco degli imputati finisce ancora una volta la legge urbanistica, la 24 del 2017. Spacciata per legge che avrebbe portato il consumo di suolo a zero, innanzitutto prevedeva una finestra di tempo di 3 anni, poi estesa a 6, per esaurire i piani urbanistici vigenti, quindi per consumare ulteriore suolo. A otto anni dalla sua approvazione, però, questo alibi non regge più.
Il problema è rappresentato da alcuni articoli, che Bollini definisce “rubamazzo” e “tana liberi tutti”. «Questa legge ha la lingua biforcuta – sostiene il docente – Con una mano è stata riempita di contenuti importanti, con l’altra ha aperto diverse finestre possibili, che consentono una via d’uscita per fare piani a vantaggio di costruttori e cementificatori».

Invece che riscrivere la norma, un’attività che richiederebbe molto tempo, Bollini sostiene che si potrebbe modificare cancellando gli articoli che permettono escamotage per continuare a consumare suolo.
Un’indicazione in questo senso arrivava da una delle quattro proposte di legge di iniziativa popolare depositate da Legambiente e dalla Rete Emergenza Climatica e Ambientale ormai tre anni fa e mai esaminate e discusse dall’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna.
Domani, a tal proposito, si terrà un presidio di protesta davanti alla Regione.

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