Il Brasile di oggi, l’elezione di Jair Bolsonaro, il clima di odio che ha sdoganato, l’omicidio di Marielle Franco e il simbolo che incarna, fino all’inizio di una resistenza che è anzitutto femminista. È l’attivista Monica Benicio, che recentemente ha partecipato al festival di Internazionale a Ferrara, ha messo a fuoco ai nostri microfoni la situazione politica brasiliana.

L’omicidio di Marielle Franco, attivista nera e lesbica, prima consigliera comunale a Rio de Janeiro proveniente dalle favelas, non ha ancora trovato le risposte sul mandante politico, ma ha rappresentato il culmine di una violenza sociale che ha trovato la sua legittimazione, a livello istituzionale, con l’elezione di Jair Bolsonaro, il 28 ottobre 2018, decretata dopo un ballottaggio con il candidato Haddad, ex ministro dell’Istruzione nel governo Lula.

Il presidente, con un passato militare di estrema destra, non ha fatto segreto del suo essere omofobo, misogino e razzista e ha portato avanti, in questo primo anno di mandato, politiche neoliberiste fatte di tagli all’istruzione, aumento dell’età pensionabile, deforestazioni e privatizzazioni. Per comprendere le circostanze che hanno portato alla sua elezione, in un paese in cui il tasso di criminalità è altissimo, in cui avviene un femicidio ogni due ore e la violenza della polizia non si arresta, è necessario fare un passo indietro e ripartire dal golpe contro la presidente Dilma Rousseff.

“Già da lì avevamo – la costituzione di un mostro chiamato Partido dos Trabalhadores (Partito dei lavoratori) – spiega Benicio – Attraverso l’uso dei media si mise a punto una narrativa secondo cui il PT (di cui la stessa Rousseff è membro ndr) aveva distrutto il Brasile e la speranza”. Successivamente l’accusa nei confronti dell’ex presidente Lula Da Silva, ora in arresto, per corruzione è stata determinate nella vittoria dell’attuale presente Bolsonaro.

Un altro pezzo del puzzle è rappresentato dal giudice Sergio Moro, attualmente ministro delle Giustizia nel governo Bolsonaro, figura cardine nell’indagine che ha fatto emergere il sistema di tangenti all’interno dell’azienda petrolifera statale Petrobras e ha coinvolto direttamente molti esponenti del Partito dei Lavoratori.
A colpi di propaganda e fake news, questa situazione ha favorito l’elezione di Bolsonaro, “all’interno di un golpe in cui è stato dimostrato che il giudizio di Sergio Moro non è stato imparziale – aggiunge l’attivista – insieme alla partecipazione del Pubblico Ministero, per mettere fuori gioco Lula”.

Una storia, quella del Brasile, segnata da diversi colpi di Stato e dalla fine piuttosto recente di una dittatura militare che lo rendono un Paese dalla democrazia giovane, ma fragile.
In questo contesto, “l’assassinio di Marielle rappresenta un monito a tutta la popolazione nera, lgbt, delle favelas. Era un messaggio di violenza della politica odierna che non accetta che le persone come Marielle occupino uno spazio politico di potere”. Una politica concentrata nelle mani di uomini bianchi, ricchi e misogini.

Di fronte al clima di paura che si voleva instaurare, però si è avuto un effetto contrario: infatti, a Rio de Janeiro, tre donne sono state elette deputate statali e una donna nera è stata eletta deputata federale. Il fatto che donne nere, donne trans occupino spazi della politica delle istituzioni mostra come allo stesso tempo si sono aperte fratture e spazi di possibilità, fatta di persone che portano avanti una “politica che è diversa e collettiva”.

D’altra parte la vittoria di Bolsonaro segue una tendenza che esce dai confini del paese carioca, ed è piuttosto globale come dimostra l’avanzata delle nuove destre sovraniste. Globale però è anche la resistenza messa in campo. L’eco di solidarietà che ha ricevuto l’assassinio di Marielle dimostra che, nonostante la propaganda, esiste una mobilitazione che non si farà zittire facilmente.

Quella di Monica Benicio è una lotta che ha preso le mosse a partire dall’omicidio della sua compagna che presto è diventata una lotta collettiva, trovando un eco globale. Una lotta collettiva che riempie le piazze al grido di #EleNao, che intreccia le lotte delle indigene che denunciano le politiche estrattive di un’Amazzonia in fiamme. Una rivoluzione femminista, che sia anticapitalista e antirazzista, è già in corso.

Alina Dambrosio

ASCOLTA L’INTERVISTA A MONICA BENICIO: