Il caro-affitti che fa perdere la casa alle famiglie, l’inflazione che erode il potere di acquisto, fino al paradosso di lavoratrici e lavoratori che operano in settori in forte espansione negli ultimi anni, come il turismo e la ristorazione, ma senza potersi permettere l’accesso alla città.
Nell’analisi delle dinamiche sulle trasformazioni sociali e urbane di Bologna, così come di altre città, non può mancare un focus sul tema dei salari e dei cosiddetti “working poors”, cioè persone che pur avendo un lavoro non riescono a garantirsi un livello di benessere adeguato.

Questo sarà il tema del quarto incontro del ciclo “Le mani su Bologna”, previsto per le 18.30 di giovedì 28 ottobre al Centro Sociale della Pace, in via del Pratello 53 a Bologna.
Gli incontri sono promossi da Pratello R’Esiste e Circolo Granma e condotti da Alessandro Canella, direttore di Radio Città Fujiko, e Salvatore Papa, caporedattore di Zero Bologna.
A intervenire, nell’appuntamento intitolato “Lavoro e sfruttamento nella città della rendita”, saranno Marta Fana, ricercatrice tenure track in economia applicata presso il Dipartimento di scienze economiche e aziendali dell’Università di Parma, autrice di “Non è lavoro è sfruttamento” e co-autrice di “Basta salari da fame”, e Gianluca De Angelis, ricercatore Ires Emilia-Romagna e autore dell’inchiesta sociale “Città del lavoro o città della rendita”.

Salari da fame e lavoro povero nella città della rendita: i working poors

Dall’ultimo report dell’Istat sulla povertà, emerge che in Italia sono 6,9 milioni i working poors, i lavoratori poveri. Si tratta del 10,3% della forza lavoro del Paese.
A Bologna le cose vanno meglio, perché l’incidenza è minore. Ma secondo le stime potrebbero essere più di 14mila le persone che nel territorio comunale di Bologna appartengono alla categoria.
La loro presenza comincia a essere più visibile, anche grazie all’esplosione della crisi abitativa. Dai lavoratori accampati nelle tende sotto al portico della Chiesa dell’Annunziata alle storie raccontate sui media locali, come quella dell’insegnante con figlio a carico che si ritrova senza un alloggio alle famiglie sfrattate per le pretese speculative dei proprietari immobiliari, in parte accolte nella nuova occupazione abitativa di via Don Minzoni 12.

«La questione salariale rispetto alla questione dei prezzi dell’abitare è un cane che si morde la coda – osserva Fana ai nostri microfoni – perché pur aumentando i salari, se i prezzi degli affitti o dell’acquisto degli immobili continuano ad aumentare a queste velocità, essendo prezzi che aumentano seguendo una dinamica speculativa, è quasi impossibile riuscirli a eguagliare in termini di potere d’acquisto».
Tuttavia, in generale, si sa che in Italia viviamo una condizione di bassi salari, che non aumentano e, anzi, in rapporto all’ondata di inflazione degli ultimi anni hanno avuto un calo in termini di potere d’acquisto reale.

Per approcciare il tema del lavoro povero nelle città, più che in termini quantitativi, è utile fare analisi qualitative sulle professioni in espansione. Le città che hanno vissuto fenomeni di turistificazione hanno spesso visto arretrare i settori industriali e manifatturieri e altrettanto spesso lo stesso turismo è stato descritto come un rimedio. Ma è davvero così?
I settori della ristorazione e del turismo a Bologna sono in forte espansione da anni, ma «dentro il comparto i lavori che troviamo sono sicuramente a scarso valore aggiunto e scarsissima retribuzione – osserva l’economista – Sono lavori molto precari dal punto di vista contrattuale, ma anche delle condizioni di lavoro, con turni che si estendono e condizioni scarse di sicurezza».

Elemento cruciale dei lavori nel comparto turistico è «l’impossibilità di migliorare le proprie competenze – sottolinea Fana – Fare un caffè è sempre fare un caffè e la stessa cosa vale per lavare i panni degli Airbnb».
Ciò significa che di fronte a una futura crisi queste persone faranno molta fatica a ricollocarsi sul mercato del lavoro. «Il trionfo della retorica vuole che siano i lavoratori a non avere le competenze – osserva la ricercatrice – quando in realtà sono stati costretti da questo modello di sviluppo a focalizzarsi in questi tipi di lavoro».
Nel comparto turistico, inoltre, troviamo anche la “cottimizzazione”, che erode ulteriori fette di salario.

«Le città non sono più pensate per la gente che ci vive e ci lavora – conclude Fana – ma soltanto per i turisti. Ciò incide anche sul tipo di servizi che vengono erogati, sempre più orientati a clienti rispetto che ai cittadini. I lavoratori quindi sono persone espulse dalle città e in una condizione di sottofinanziamento di tutte quelli che sono i sistemi e le reti di welfare. Un esempio su tutti è la mobilità locale, che da un lato aumenta i costi e dall’altro diminuisce le corse, proprio perché viene concentrata sui centri cittadini e pensata per un pubblico, disposto a pagare, che ha esigenze diverse da chi quella città la fa e produce anche i servizi del turismo e dell’accoglienza».

ASCOLTA L’INTERVISTA A MARTA FANA: