Giovedì 12 marzo, a Catania, sarà presentato il documentario di Riccardo Napoli, prodotto dalla Cgil, “Terra Nera”. Il quadro che ne esce è vergorgnoso. Nei campi lavorano minori stranieri tra i 10 e i 14 anni, spesso rumeni. Molte donne sono sottoposte ad abusi sessuali. Tutto il sistema di sfruttamento si basa su metodi mafioso dove il caporale guadagna tra il 30 e il 50% della paga giornaliera dei braccianti.
In tempi di Expo, che nutre il pianeta, le nostre campagne vivono in pieno in una realtà che è assimilabile a quella del secondo dopoguerra. Sfruttamento minorile, abusi sessuali sulle operaie e lavoro nero generalizzato sono all’ordine del giorno.
E’ questa la denuncia contenuta nel documentario “Terra Nera” di Riccardo Napoli, prodotto da Flai-Cgil di Catania, che sarà presentato giovedì 12 marzo alle 18, al Teatro Sangiorgio di Catania. Il sindacato dei lavoratori agricoli ha dipinto una situazione di sfruttamento e illegalità che diventano normalità nei campi siciliani e che vede nei braccianti stranieri le vittime principali. Tra i lavoratori, reclutati nei piazzali delle cittadine siciliane, come nei film neorealisti, ci sono bambini tra i 10 e i 14 anni, spesso in compagnia dei genitori. Vengono portati nei campi per la raccolta di arance e olive, in furgoncini che diventano l’emblema dello sfruttamento istituzionalizzato dei caporali, spesso stranieri anche loro. Una famiglia di 3 persone, riesce a guadagnare al massimo 60 euro in dodici ore di lavoro. Di questi, il caporale, cui i titolari delle aziende agricole fanno riferimento, ne prende tra i 20 e i 30. Una sorta di affiliazione giornaliera, senza la quale non è possibile lavorare, in un contesto nel quale “lo sfruttamento vive anche della parcellizzazione dell’offerta che dimostra il fallimento delle politiche agricole siciliane”, spiega Alfio Mannino, della Flai-Cgil di Catania.
Drammatica, altri versi, è la condizione delle lavoratrici impegnate nelle serre, soprattutto nel ragusano. Le braccianti, e i casi di aborto stanno lì a dimostrarlo, sono sottoposte a continui abusi sessuali da parte dei caporali e degli imprenditori agricoli, sino a veri e propri “festini agricoli” come denunciato dal parroco di Vittoria, don Beniamino, che ha aiutato la Cgil nella sua attività d’inchiesta.
Ma, in generale, è tutta la raccolta nei campi ad essere luogo di sfruttamento e prevaricazione. Basti pensare all’incongruità delle giornate dichiarate dai datori di lavoro in rapporto alle giornate effettivamente lavorate dai braccianti, che sono soprattutto di orgine rumena negli ultimi tempi.
In questo contesto, dove lo Stato nei fatti non esiste (“l’Ispettorato del lavoro ha soltanto 5 ispettori” rivela Mannino), è necessario per la Flai-Cgil l‘istituzione di liste pubbliche cui le imprese agricole possano accedere per il reclutamento. Un esperimento che in Puglia, ad esempio, ha ridotto di molto il fenomeno. Nel reclamare, inoltre, una legislazione che colpisca anche l’imprenditore agricolo che si “avvalga dei servigi del caporale”, il sindacato chiede che si leghi la legalità del reclutamento all’accesso ai fondi europei di sviluppo rurale che, per la sola Sicilia, ammontano a più di due miliardi di euro.
Tornando al principio, nel paese dell’Expo e delle tutele crescenti, che queste tutele, se ci sono, che siano per tutti. Buona spremuta.