Una delle speranze più diffuse tra gli educatori, relativamente alla fondazione degli ordini professionali, prima quello sanitario, ora quello socio-pedagogico, è che la loro istituzione avrebbe migliorato le condizioni della vita professionale, attualmente precarie e avvilenti, dei mestieri che a loro afferiscono. Al momento non ci pare che sia andata così: la qualità della vita dell’educatore professionale rimane tra le più basse tra i mestieri d’istruzione cosiddetta “alta”. Con l’avvento degli albi non sono certo scomparsi i salari miseri, le notti passive, la perdita di ore scolastiche quando l’alunno seguito non si presenta a scuola, la corsa disperata ad accumulare “micro interventi” per riempire il monte ore estivo, il part-time quasi obbligatorio (trovatelo un posto a tempo indeterminato in una cooperativa, se ci riuscite). E non è scomparso neppure il fenomeno della fuga degli educatori da questo mestiere, tutt’altro, da tempo assistiamo alla “caccia” all’assunzione dell’operatore (con orario rigorosamente part-time), senza che questo si traduca in un miglioramento, anche solo minimo, delle condizioni contrattuali. Siamo l’unico mestiere al mondo, in tempi di libero mercato, dove a fronte di un aumento della domanda, non ci sia un corrispettivo aumento dell’offerta.

Eppure c’è chi ci continua a pensare agli ordini come alla soluzione di tutti, o quasi, i problemi della categoria. Le associazioni prima di tutto, alcune in particolare, che probabilmente ritengono l’ordine lo spazio più adatto in cui coltivare una qualche vocazione corporativista della categoria che le permetta un domani di diventare un soggetto forte e credibile di fronte agli interlocutori in sede di rivendicazioni contrattuali o di qualità dell’organizzazione del lavoro.  Resta il fatto che ad oggi i lavoratori iscritti alle varie associazioni non arrivano neppure al 2/3% del totale dei lavoratori impiegati in ambito socio-pedagogico. Il dubbio che il tutto sia stato fatto senza consultare i lavoratori, dal nostro osservatorio la maggioranza contrari agli ordini, è forte. La certezza che gli educatori, quelli che lavorano in ambito sanitario e quelli che lavorano in ambito socio-pedagogico, si vivano come un’unica categoria e vivano la contrapposizione tra i due albi come una forzatura giocata sulle loro spalle, pure.

Ci siamo confrontati con l’associazione che più di altre si sta battendo in favore dell’albo socio-pedagogico, APEI (Associazione Pedagogisti Educatori Italiani) e abbiamo chiesto al presidente, Alessandro Prisciandaro, le motivazioni. Con lui abbiamo poi affrontato altri temi: le incongruenze nel percorso di approvazione, la dubbia costituzionalità dell’esclusione dei colleghi senza cittadinanza italiana, le tempistiche poco chiare. Infine, la destinazione del denaro e parliamo di tanti soldi: se è vero, come pare, che ci siano già 200.000 iscritti, 100 euro per iscritto si arriva a 20.000.000 di euro, non proprio una cifretta, che uso se ne farà? Andrà a beneficio degli iscritti o servirà unicamente a tenere in piedi l’apparato necessario al mantenimento dell’ordine? Di seguito il link con la puntata.