Le tardive nevicate hanno smorzato il dibattito, ma la questione è tutt’altro che risolta. Parliamo dell’impatto della crisi climatica sulla montagna e sull’economia incentrata sullo sci, che nelle settimane scorse ha reso evidente come gli scenari che si prefigurano richiedano contromisure, sia sul versante dell’approvvigionamento idrico, sia su quello del lavoro. La carenza delle precipitazioni nevose, così come le temperature alte che ne accelerano lo scioglimento sono fenomeni che si manifestano con sempre più frequenza.

Su questi temi è incentrato un libro appena pubblicato, “Inverno liquido. La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa” (Derive Approdi), che gli autori Maurizio Dematteis e Michele Nardelli presenteranno alle 18.30 di domani pomeriggio, 11 febbraio, al Centro Sociale della Pace, in un incontro organizzato dalla Libreria Modo Infoshop e dal comitato “Un altro Appennino è possibile“. Il comitato è anche impegnato nella battaglia contro la costruzione di un nuovo impianto di risalita al Corno alle Scale.

La neve che manca: le evidenze della crisi climatica in montagna

Se il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini pensa ingenuamente di risolvere il problema con dei cannoni sparaneve hi-tech e il sindaco di Lizzano in Belvedere Sergio Polmonari affronta il tema con dichiarazioni tra il negazionista e il complottista – sostenendo che ci sarebbe una non meglio precisata operazione per spopolare l’Appennino – la questione è assai più seria.
A metà gennaio scorso, secondo il Centro Internazionale di Monitoraggio Ambientale (Cima), su tutto il territorio italiano la neve caduta segnava un -60%, le piste da sci non aprivano e montavano le preoccupazioni per le risorse idriche per fronteggiare la prossima estate. Poi è nevicato e il deficit si è un po’ ridotto, ma a inizio febbraio il dato si attestava ad un -35% rispetto all’ultimo decennio, con solo il 12% di neve in più rispetto all’anno scorso.

Il libro di Dematteis e Nardelli è un reportage che affronta questo tema viaggiando tra le Alpi e gli Appennini e raggiungendo imprenditori, operatori e testimoni del mondo dello sci che si raccontano, analizzano i fallimenti, spiegano i percorsi di riconversione, fotografano i sogni di rinascita.
«Il nostro libro è una riflessione sul futuro di un modello, quello dello sci di massa, che sta trovando enormi problemi dal punto di vista ambientale, economico e sociale proprio a causa della crisi climatica, oltre che della crisi economica e del cambiamento degli stili dei turisti», osserva ai nostri microfoni Dematteis.

Lo sci di massa, un modello fordista

Nel descrivere cos’è stato e cosa cerca di restare oggi lo sci di massa, gli autori evocano il fordismo e descrivono le stazioni sciistiche come delle vere e proprie industrie, con esigenze industriali. «Anche quello dello sci di massa si basa su un modello della crescita infinita – osserva Dematteis – Sono realtà che pur essendo in contesti montani finiti, hanno una logica di crescita tipica delle società. Le due cose faticano ad andare insieme». In altre parole, lo sci di massa è un modello cittadino industriale impiantato in montagna, dove ha portato sicuramente dei vantaggi, mantenendo i servizi e consentendo alle famiglie di poter vivere, ma al contempo ha ucciso l’imprenditorialità locale relativa ad economie che non dipendessero dallo sci.

Negli ultimi decenni, inoltre, lo sci di massa è diventato sempre più elitario, seguendo le trasformazioni del turismo globale. Secondo Dematteis sono due le ragioni di questo cambiamento: «Da un lato i costi aumentano e la “neve programmata“, come viene chiamata, è ormai indispensabile per portare avanti un’impresa di quel genere. Salendo i prezzi, il turismo di massa è diventato un turismo globale, cioè si punta sui “charter della neve” di gente che arriva da Paesi lontani, come Russia e Cina». La conseguenza è che occorre alzare sempre più l’asticella, portando le stazioni medio-piccole a chiudere e quelle grandi a competere a livello panalpino, con impianti sempre più all’avanguardia.

La crisi climatica e la “terra di mezzo”

Nel libro, gli autori descrivono lo scenario attuale come una «terra di mezzo tra il non più e il non ancora». Se il modello industriale dello sci di massa è in declino, infatti, la possibile riconversione di quell’economia non è ancora arrivata, anche se nel reportage alla base del libro se ne individuano le avanguardie.
Il rischio maggiore che si corre non accorgendosi del mutamento imposto dalla crisi climatica, è che la politica, anche per tutelare i grandissimi interessi economici che ci sono nel comparto, spinga fino all’ultimo su quel modello, arrivando però a produrre un tracollo e un abbandono di quei territori.

Ciò che bisognerebbe fare, secondo gli autori, è invece accompagnare la riconversione con un cambiamento graduale, che non abbandoni d’improvviso lo sci e i posti di lavoro ad esso collegati, ma immagini un’altra montagna.
La parte propositiva del libro riguarda proprio questo aspetto, con la ricerca di esperienze che possano fungere da spunto. Come nel caso di Prali, piccolo Comune della Val Germanasca, in provincia di Torino, dove tutti gli imprenditori, mettendo ciascuno una quota, hanno rilevato il vecchio impianto di risalita per tenerlo aperto tutto l’anno. Lo sci, dunque, non viene completamente abbandonato, ma grazie alla seggiovia si sviluppano anche altre attività, come la mountain bike o la valorizzazione delle aziende agrituristiche del territorio.
«Non lo hanno fatto per guardagnarci – sottolinea Dematteis – ma per mantenere vivo il luogo».

ASCOLTA L’INTERVISTA A MAURIZIO DEMATTEIS: