È partito dalla Francia e si è esteso rapidamente anche all’Italia ed altri Paesi europei l’appello, sottoscritto da 150 tra economisti, giustisti e docenti accademici, per una sterilizzazione del debito pubblico in possesso della Bce. I sottoscrittori chiedono che, vista la gravissima crisi economica scaturita dall’emergenza sanitaria, la Banca Centrale Europea adotti una misura che preveda la sterilizzazione, se non addirittura la cancellazione del debito pubblico interno che pende come una spada di Damocle sugli Stati.

All’appello, tuttavia, ha già risposto Christine Lagarde, ex direttrice del Fondo Monetario Internazionale che è succeduta a Mario Draghi alla guida della Bce. La risposta all’appello, che ai più è sembrata scontata, è stata di rifiuto.
Secondo Lagarde, una misura che sterilizzi il debito pubblico pendente sugli Stati membri dell’Ue «violerebbe i trattati europei».
L’istituzione, dunque, non sarebbe intenzionata a forzare ulteriormente la mano rispetto alle forzature che già sta compiendo sul proprio mandato.
In ogni caso, l’appello ha il merito di aprire un dibattito su uno dei temi tabù in Europa, ovvero l’ordinamento stesso dell’Unione.

Debito pubblico, un appello che mette in guardia

«La Bce ha acquistato sui mercati secondari, perché non può farlo direttamente, i titoli del debito pubblico – spiega ai nostri microfoni Alessandro Somma, docente dell’Università La Sapienza e sottoscrittore dell’appello – Questi titoli sono comunque debito che incombe sugli Stati. Se ci fosse un meccanismo che almeno lo sterilizzasse, ci sarebbe un allegerimento del debito sui Paesi europei che, ricordiamo, in questa fase si stanno indebitando all’inverosimile».
Il problema, però, è che entro breve rientreranno in funzione i parametri di Maastrich, cioè i limiti al debito e al deficit e i Paesi europei, in particolare quelli del sud, si troveranno a sforare questi limiti. «Questo – osserva Somma – significa il suicidio economico, politico e sociale per il futuro».

Il docente universitario sottolinea che anche gli strumenti che oggi vengono narrati retoricamente, come il Recovery Fund e il Mes, in realtà non fanno altro che aumentare il debito dei Paesi ed incastrarli dentro a un meccanismo fatto di prestiti e sovvenzioni, ma che come contropartita esige riforme strutturali e indirizzi della politica economica che non cambia rotta rispetto al passato.
«Non si è imparato nulla con la crisi del 2008 – commenta Somma – Non si è imparato nulla dalla crisi attuale».
In particolare, anche le sovvenzioni del Recovery Fund sono fatte di soldi che l’Europa ha chiesto in prestito ai mercati, per cui sono debito comune che dovrà essere restituito e, poiché il bilancio dell’Ue è in larga parte costituito da fondi degli Stati membri che vengono trasferiti, quel debito peserà sugli Stati.

La spirale, insomma, è quella che abbiamo già visto in passato e ad impedire un cambio di passo, secondo il firmatario dell’appello, non sono realmente i trattati, ma la volontà politica. «Se c’è la volontà, i trattati possono essere cambiati – osserva Somma – ma sappiamo che c’è un gruppo di Paesi membri, i cosiddetti Sado (Svezia, Austria, Danimarca e Olanda) che sono contrari. Quello che potrebbe succedere se Germania e Francia si trovassero in difficoltà è che si sposterà in avanti il momento in cui la Bce tornerà ad essere severa. Mi pare un po’ poco per un’unione politica sperare che anche gli altri stiano male così che la politica resti un po’ sospesa in una sorte di limbo per cui le regole si piegano un pochettino secondo quello che detta il buon senso».

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