Il pianeta sta collassando a causa dell’inquinamento e della negligenza degli uomini, ma secondo Naomi Klein i movimenti sociali rappresentano la nostra speranza. Riusciremo a costringere chi inquina a pagare per i danni che ha causato? 

Naomi Klein, scrittrice e giornalista canadese, autrice, tra gli altri, del celebre libro No Logo, poi diventato manifesto della battaglia No Global, ha tenuto una conferenza a Mantova per presentare il suo ultimo lavoro: “This chan­ges eve­ry­thing. Capi­ta­lism vs. the cli­mate” (“Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile”).
In questo ultimo saggio la scrittrice dimostra come l’economia capitalista, che si basa sul concetto di “crescita ad ogni costo”, abbia ormai distrutto il pianeta sul quale viviamo in modo irreversibile.In fondo non è una novità che il capitalismo abbia reso, per esempio, il processo di surriscaldamento globale più rapido e che l’utilizzo spropositato delle risorse a nostra disposizione e l’esportazione del modello di sviluppo occidentale stia provocando danni irreversibili al pianeta. Klein, come molti altri, è sicura che contrastare il modello di crescita adottato dai paesi occidentali sia l’unico modo per evitare la catastrofe.

Il cambiamento risulta dunque necessario, e, secondo la scrittrice canadese, deve essere radicale: Naomi Klein ci spiega che non possiamo più accontentarci dei “piccoli gesti individuali”,non abbiamo abbastanza tempo per sperare che questi cambieranno le cose.Il cambiamento deve esserci e deve partire dalla collettività, perchè solo in questo modo la voce di chi vuole cambiare le cose arriverà alle alte sfere della politica.
Secondo Klein, infatti, parte del problema è rappresentato dalla classe politica, che o nega la presenza di un vero problema ambientale o non accetta la necessità di stravolgere il modello finora utilizzato e continua a “tenere il piede in due scarpe”: da un lato appoggiando e sostenendo iniziative e progetti eco sostenibili e dall’altro continuando a finanziare, per esempio, trivellazioni o nuove autostrade. Risulta quindi evidente che il cambiamento debba essere radicale, così tanto da “rappresentare uno shock”. Secondo la giornalista è giunto il momento di una svolta, “dobbiamo solo decidere se vogliamo che sia un cambiamento economico radicale o un cambiamento ambientale radicale”.
La lotta contro la negazione del problema ambientale deve essere un’ azione collettiva, coordinata e sviluppata in tutto il mondo, così da rappresentare l’ antitesi dell’individualismo tipico delle filosofie liberali, e dovrà essere così forte da rappresentare la crisi dell’ideologia dominante del nostro secolo, il capitalismo.
I movimenti sociali,però, non devono fermarsi alla protesta fine a se’ stessa, “non devono solo dire No”, mantendo un atteggiamento caparbio e sterile nei confronti del problema principale. Perchè il cambiamento possa avvenire, secondo Klein, chi protesta deve essere attivo e propositivo nella sua opposizione, deve, insomma, “iniziare a dire Sì”.
Chi protesta deve ora essere in grado di dimostrare che può proporre una valida alternativa, che non sia solo più morale e giusta,ma che evidenzi l’inefficienza economica della distruzione ambientale e che, al contrario, la preservazione del territorio comporti vantaggi sia econimici che sociali.
Alla domanda “Abbiamo molti esempi,anche in Italia , di movimenti che dicono no (ad esempio No TAV o No Expo) non è che anche questa è diventata un’ occasione perduta, che ormai  dire no non basti più?” Klein risponde “loro dicono sì quando si tratta di tutelare uno stile di vita tradizionale, dicono sì quando si tratta si proteggere un governo economico di tipo non estrattivo. C’è forse una scelta di marketing anche in questo, che vuole cercare di sottolineare il No, e poi bisogna non fermarsi all’apparenza e scavare più in profondità per trovare anche i Sì”. 

La “lotta” non si vincerà comunque fino a che non verrà percepita da tutti come una battaglia morale: il surriscaldamento globale, per esempio, rappresenta una condanna a morte molte popolazioni. Klein porta l’esempio di Copenaghen 2009, quando i leader mondiali decisero di limitare l’entità del riscaldamento a livello globale a non più di 2 gradi Celsius. In quell’occasione, i delegati dei paesi africani manifestarono il loro disappunto, parlando di “genocidio e condanna a morte”, per quei popoli che non potrebbero sopravvivere in caso di un aumento, seppur minimo, della temperatura.
La situazione è critica, quindi, e non lascia alcuna via di scampo: sembra che sia giunto il momento di decidere se allearci contro chi inquina, per chiedere che paghino i danni che hanno causato nel corso di decenni, o se vogliamo continuare ad accontentarci di piccoli gesti e negazioni, e collassare insieme al pianeta.

Veronica Ventura