Che Israele volesse attaccare l’Iran era chiaro da almeno tre settimane, al punto che l’intelligence Usa aveva lanciato l’allarme e messo in guardia dalle possibili conseguenze. Il pretesto per Netanyahu, però, è arrivato la settimana scorsa, quando l’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, per la prima volta in vent’anni ha approvato a maggioranza stretta un documento in cui si affermava che l’Iran non stava rispettando gli obblighi. Il giorno dopo sono partiti gli attacchi israeliani sulla repubblica islamica.
Il pretesto della bomba nucleare, però, non è il solo con cui sia Israele che l’Occidente stanno tentando di giustificare la nuova guerra. In voga è tornata la rodata retorica di “esportare la democrazia”, una sorta di impegno “umanitario” nei confronti del popolo iraniano oppresso dal regime degli ayatollah.

La bomba nucleare dell’Iran non esiste, ma lo spauracchio viene agitato per giustificare la guerra

Risale al 12 giugno, cioè giovedì scorso, la notizia sull’approvazione in sede Aiea di un documento, il primo in vent’anni, che afferma che l’Iran non starebbe rispettando gli obblighi sul nucleare.
La risoluzione è stata presentata da Francia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti e la votazione nel consiglio dell’Agenzia pone qualche dubbio sulla natura dell’iniziativa stessa. Ad approvare il documento che ammoniva Teheran, infatti, sono stati 19 membri sui 35 che compongono il consiglio. Tre hanno votato contro, undici si sono astenuti e due non hanno partecipato al voto.

Tutto nasce da un’indagine in corso da tempo sulle tracce di uranio rinvenute in diverse località che Teheran non ha dichiarato come siti nucleari. Nella risoluzione si invita l’Iran a fornire risposte senza indugio, perché il sospetto dell’Occidente è che le tracce di uranio in realtà nascondano un programma segreto per la realizzazione di armi o un bomba nucleare fino dal 2003.
Il ministero degli Esteri iraniano e l’Organizzazione Nazionale per l’Energia Atomica hanno dichiarato che la decisione ha una natura «politica per eccellenza e riflette un chiaro pregiudizio», osservando che la politica di cooperazione di Teheran con l’Aiea «si è ritorta contro a causa dei rapporti politicizzati di alcune parti».

Allo stato attuale, dunque, non ci sono prove concrete che l’Iran abbia una bomba nucleare né che possa averla a breve. Ma la storia delle relazioni internazionali, in particolare in Medio Oriente, annovera già storie di pretesti agitati per giustificare un’aggressione militare.
Celebre, in tal senso, fu il discorso pronunciato dal segretario di Stato statunitente Colin Powell il 5 febbraio 2003 quando, durante il Consiglio di sicurezza dell’Onu, sostenne che l’Iraq producesse armi di distruzione di massa e la prova era rappresentata da una fialetta che lo stesso agitò che conteneva polvere bianca, che sarebbe dovuta essere antrace. Il tutto si rivelò falso.

La guerra per liberare il popolo iraniano ed esportare la democrazia?

Tra i due contententi il Paese che non ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare non è l’Iran, ma Israele, che in questo modo, pur avendo bombe nucleari, non è sottoposto ai controlli dell’Aiea.
Per giustificare il sesto fronte bellico aperto da Tel Aviv, però, non c’è solo il pretesto del nucleare iraniano ma, dopo un primo momento di smarrimento dei quotidiani occidentali, presto si è fatta strada una scorta mediatica che ha rispolverato il vecchio refrain di “esportare la democrazia”. Uno degli obiettivi, infatti, sarebbe quello di ribaltare l’oppressivo regime degli ayatollah e liberare il popolo iraniano.

«Questo dispositivo discorsivo del “lo facciamo per liberare il popolo” è un copione che abbiamo già visto in altri casi abbastanza recenti, anche nella stessa regione, come l’Afghanistan e l’Iran – osserva ai nostri microfoni Paola Rivetti, docente di Relazioni internazionali alla Dublin City University – In tutti questi casi storici i grandi assenti sono le persone oppresse».
In realtà, le formazioni di opposizione, come movimenti, sindacati e associazioni, a Teheran hanno un’idea molto diversa. E lo hanno fatto sapere pubblicando documenti e statement con cui criticano l’aggressione israeliana per almeno due motivi.

Da un lato, infatti, si sottolinea che l’intervento israeliano è problematico perché è un’aggressione militare che porta violenza e morte, dall’altro perché toglie la possibilità al popolo iraniano di liberarsi e di autodeterminarsi.
«Il messaggio – sottolinea Rivetti – è quello che vede il popolo iraniano che intende esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione e di liberarsi senza necessariamente l’aiuto di una potenza straniera, specie se questa è colpevole di un genocidio e crimini di guerra e che non ha alcun interesse a portare un cambio democratico nel Paese».

Un po’ più sincero nel commentare la guerra dichiarata da Israele all’Iran è stato il cancelliere tedesco Friedrich Merz, che al recente G7 ha affermato: «Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti noi». Dichiarazioni che testimoniano un approccio neocolonialista e imperialista e che suonano ancora più lugubri se si considera che la Germania è uno dei Paesi che, insieme a Francia, Regno Unito e Stati Uniti, ha presentato la risoluzione in sede Aiea che ha portato all’ammonimento di Teheran prima ed è stata immediatamente utilizzata da Israele per attaccare Teheran.

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