È inquietante la vicenda che ha coinvolto Potere al Popolo e Cambiare Rotta. Lo è ancora di più perché arriva a poca distanza dal caso “Paragon”, l’app di origine israeliana utilizzata per spiare attivisti e giornalisti. Alle forze politiche, invece, è stato riservato un trattamento più “classico”, quello degli infiltrati di polizia. Ma né Potere al Popolo né Cambiare Rotta sono organizzazioni terroristiche o eversive e non c’è alcun provvedimento giudiziario a giustificare il controllo poliziesco delle opposizioni politiche.
Per questa ragione è stato lanciato l’appello “Chi controlla il controllore” con cui si solleva un tema gigante per la democrazia in Italia e si chiede chiarezza e trasparenza su quanto accaduto.
Un appello contro il controllo poliziesco delle opposizioni dopo gli infiltrati in Potere al Popolo
Tutto nasce da un’inchiesta di Fanpage del maggio scorso. La testata, che aveva già alcuni giornalisti spiati nel caso Paragon, scopre che a Napoli, attraverso il Collettivo Autorganizzato Universitario (Cau), dentro Potere al Popolo si è inflitrato un agente di polizia.
Un fatto inquietante che, un mese più tardi, si scopre avere contorni più grandi. In diverse città d’Italia, incluse Bologna, Milano e Roma, gli agenti di polizia infiltrati in Potere al Popolo e nelle organizzazioni giovanili con cui lavora sono in totale cinque.
«Si tratta di poliziotti appena usciti dalla scuola di polizia, quindi molto giovani e con un profilo adatto a infiltrarsi nelle organizzazioni giovanili, passati alle forze dell’antiterrorismo», racconta ai nostri microfoni Riccardo Rinaldi di Potere al Popolo Bologna.
Le forze politiche infiltrate anzitutto rigettano l’accusa implicita che si evince dalla vicenda, ovvero di avere caratteristiche pericolose o addirittura eversive da giustificare l’infiltrazione di poliziotti. «Agiamo in un ambito democratico e ci presentiamo alle elezioni», sottolinea Rinaldi.
Ad aggravare la vicenda anche l’assoluta mancanza di procedimenti giudiziari che possano giustificare di spiare le riunioni e le manifestazioni di Potere al Popolo, Cau e Cambiare Rotta. Il governo ha giustificato l’operazione sostenendo che serviva a prevenire violenze nelle manifestazioni, ma Potere al Popolo rigetta l’accusa.
«È un’operazione tutta politica – continua il militante – in parte di spionaggio, in parte di controllo politico sulle opposizioni. Un altro aspetto è quello dell’intimidazione».
In seguito a questo grave fatto, venerdì scorso è stato lanciato un appello, intitolato “Chi controlla il controllore”, che avanza quattro richieste precise. Da un lato si chiede alla premier Giorgia Meloni e al ministro degli Interni Matteo Piantedosi di esprimersi pubblicamente su quanto accaduto, in Parlamento e davanti all’opinione pubblica; dall’altro si chiede che siano chiariti i contorni dell’operazione: chi l’ha autorizzata, con quali obiettivi, attraverso quali catene di comando, e sulla base di quali elementi.
Inoltre si chiede che si apra un confronto trasparente sul ruolo delle forze di polizia di prevenzione, e sui limiti costituzionali delle attività di intelligence interna rivolte verso soggetti politici e che siano riaffermate in modo chiaro, nelle istituzioni e nel dibattito pubblico, le garanzie democratiche contro ogni forma di controllo politico e poliziesco del dissenso.
In pochi giorni l’appello ha già raccolto diverse firme, tra cui alcune di personaggi di spicco. Da Mimmo Cangiano a Carlo Rovelli, da Andrea Segre a Fabrizio Barca, da Vauro a Luigi De Magistris, da Ilaria Salis a Zerocalcare, da Maurizio Acerbo a Vittorio Agnoletto.
«Stiamo raccogliendo le adesioni più ampie possibili – osserva Rinaldi – perché crediamo che questo sia un attacco alla democrazia rispetto a cui dobbiamo fare fronte con tutte le persone e tutte le forze politiche e sociali che si rendono conto della gravità dell’accaduto».
ASCOLTA L’INTERVISTA A RICCARDO RINALDI:







