La prima tappa del progetto Čechov, in coproduzione con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e in collaborazione con Festival dei due Mondi di Spoleto, in scena a Modena propone al pubblico uno spettacolo agile, delicato e commovente che, attraverso le vicende di un gruppo familiare, ci ricorda come la vita sfugga mentre si è impegnati a fare attività che distolgono dai progetti che ciascuno/a aveva e che nell’osservare il disfacimento proprio e di chi si ha a fianco, si commemora il fallimento degli antichi desideri e si comprende come la vita che ognuno/a si costruisce sia una trappola che non concede scampo.

Un gruppo di 13 valenti attori/trici narra poeticamente sul palco una vicenda familiare attraverso le parole di Anton Čechov mediate dalla visione del giovane regista Leonardo Lidi che dopo soli 12 anni di lavoro registico ha vinto, nel 2020 il premio della critica teatrale italiana.

Con grande semplicità, questa messa in scena de Il gabbiano comunica il vano affacendarsi dei personaggi nell’inseguimento dei propri obiettivi personali o professionali, obiettivi che quando di raggiungono sembrano già inutili perchè il vero traguardo è stato spostato più avanti e pertanto la corsa ricomincia identica sia che si tratti di un nuovo raccolto nei campi, un nuovo racconto da scrivere, una parte da ottenere, una commedia da interpretare, un successo da celebrare in società. L’incessante angoscia per il desiderio del raggiungimento dei propri traguardi precipita ognuno/a nella disperazione, suscita un perenne bisogno di scappare dalla situazione presente verso altro, quell’altro che forse li renderà felici. Il gruppo è ritratto in momenti di pausa dal lavorio per i propri obiettivi, durante le vacanze estive o un obbligato raduno al capezzale di un morente. La vacanza, l’inattività voluta, o forzata, mette ancora più in risalto la frustrazione del desiderio di sucesso, di felicità, di amore, di gioia mancata. La noia rende più acuto il desiderio di essere altrove, di realizzare altri sogni, di amare altri che non siano coloro che teneramente ci dimostrano amore.

La narrazione scenica è condotta usando il palco completamente vuoto, il dispositivo scenico è completamente a vista: i fari, le corde, le uscite di sicurezza. Solo una panchina è concessa ai e alle protagoniste come oggetto scenico e tutti/e gli attori e le attrici restano in scena, in fondo, su alcune seggiole o in piedi, nei momenti in cui non hanno battute da dire come a sottolineare l’attesa, la noia, il desiderio di quei pochi momenti di reale interazione con gli altri nelle lunghe giornate, o di attività concreta rispetto all’inattività.

La narrazione è veloce, senza momenti morti, gioiosa e sempre delicata forse anche grazie alla scelta del mantenimento dell’uso dei microfoni anche al chiuso per questo allestimento nato per una prima esecuzione all’aperto al Festival di Spoleto la scorsa estate. La scelta obbligata in esterno del microfono ha condotto a un uso delle voci sempre sussurrate, a fior di labbra, come pensieri sfuggiti all’inconscio e pronunciati, ma con fatica e timore. Trasportando la produzione al chiuso, la compagnia ha scelto di manterene questa dimensione intima e sommessa portando i microfoni che pure hanno riscosso un certo mugugno in platea durante la replica a cui ho assistito.

Il lavoro è decisamente corale, un successo collettivo che poggia certamente sull’impostazione registica, ma soprattutto sulle performance attoriali. Degna di nota l’interpretazione giocosa e affettuosa dello zio Peter Nikolaevič Sorin en travesti da parte dell’attrice Orietta Notari. Ilaria Falini nei panni di Maša riesce perfettamente a esternalizzare con gesti ed espressioni il tormento interiore della personaggia per l’amore non corrisposto da parte di Kostia che la consuma a pocoa poco, costringendola a una vita dolorosa con un marito e un figlio che non può amare e che non le danno la felicità tanto agognata. Francesca Mazza è efficace nel mostrare l’incapacità della grande attrice Irina nel mostrare affetto per il figlio, nell’essere con lui generosa dimostrandogli apprezzamento per la sua attività di scrittore e nel suo disperato attaccamento all’ultimo amore della vita, lo scrittore Trigorin (splendidamente interpretato da Massimiliano Speziani), a costo di dover sopportare le sue ripetute infedeltà.

Deliziose le controscene di Maurizio Cardillo e Angela Malfitano che danzano insieme nelle serate estive come a consolazione di una vita che si consuma e si trascina senza possibilità di sottrarsi ai rispettivi doveri di medico e di moglie di un uomo tirannico. Giuliana Vigogna nei panni di Nina, nonostante la sua candidatura al Premio Ubu 2022 come Migliore attrice o performer Under 35 risulta spesso impastata nella dizione con un accento romano e convince solo nell’arcifamoso monologo finale che probabilmente è stato il più curato e studiato tanto da risultare pulito ed emozionante. Infine il personaggio di Kostia interpretato da Christian La Rosa corrisponde nella riuscita all’immaginario della lettura del testo cecoviano sia nei momenti di fragilità e tenerezza che negli accessi di collera e risentimento verso la madre.

Nel complesso tutti/e gli e le interpreti sono perfettamente in ruolo e risultano affiatati, un gruppo ben amalgamato che consente a ciascuno di emergere al momento opportuno e rende possibile la narrazione della comune sventura di invecchiare, di disfacersi nel vano inseguimento di una impossibile felicità se non fatta di brevi e memorabili momenti. L’idea della vita che ci intrappola nel suo costringerci ad azioni non desiderate, a convivenze forzate, a morti che arrivano troppo presto rispetto alle attese, è poi visualizzata facendo calare la griglia delle luci fino al pavimento ingabbiando ogni personaggio/a sciupandone i sogni fino a rovinare l’esistenza rimanente come nel “soggetto per un breve racconto” immaginato da Trigorin.

Lo spettacolo, in scena fino al pomeriggio dell’ 11 dicembre allo Storchi, con una replica speciale che aderisce al progetto “Teatro No Limits” con audiodescrizione per le persone con disabilità visiva, è da non perdere, a costo di inseguirlo nella lunga tournèe che prosegue fino ad aprile 2023 portando un ottimo Čechov a tutti/e coloro che amano vedere e rivedere sui palcoscenici personaggi tanto amati nella personale lettura di questo grande autore russo di cui non potremmo mai fare a meno, in un’icoloclastico oscuramento della letteratura russa invece da tanti invocato come gesto di rivolta verso l’attuale capo del Cremlino.