Tutti i giornali di oggi venerdì 3 giugno titolano con uno di questi due numeri: 100 e 20. Il primo segna una triste ricorrenza, i primi 100 giorni dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, la cosiddetta «operazione speciale» lanciata dal Cremlino il 24 febbraio. Il secondo rappresenta la percentuale di territorio ucraino che, secondo le autorità di Kiev, è attualmente sotto il controllo russo.

Di numeri certi, però, in questa guerra ce ne sono davvero pochi. Non sappiamo quante siano le vittime civili – le Nazioni Unite parlano di 4000 morti accertate, ma si da per scontato quelle reali siano molte di più. Non ci sono certezze sugli sfollati – di certo diversi milioni, ma molti stanno iniziando a tornare nelle loro case quando provenienti da zone non più prima linea del conflitto. Non sappiamo nemmeno quali siano le perdite militari dei due fronti, in termini di uomini e mezzi. Dati questi ultimi su cui si consuma una durissima guerra di propaganda da ambo le parti, volta a minimizzare le proprie difficoltà e a enfatizzare quelle del nemico.

«Quel 20% di territorio perso potrebbe essere il punto di caduta per una trattativa sul cessate il fuoco in Ucraina»

Anche per questo, a distanza di cento giorni dall’inizio dell’invasione, è bene provare a fare un punto della situazione. «I russi si sono attestati oltre la linea del Donbass, e lo hanno preso quasi per intero. Hanno Mariupol, e si delinea quello che potrebbe essere un fronte del cessate il fuoco. Zaporizhia e Severodonetsk sono già fuori dagli Oblast del Donbass, e lì potrebbe nascere una trattativa. Quel 20% di territorio perso potrebbe essere il punto di caduta per una trattativa sul cessate il fuoco». A darci una mano in questo compito è Alberto Negri, storico inviato di guerra del Sole24Ore ora in forze al Manifesto. «Stabilita una tregua, poi, i negoziati di pace possono durare decenni. Funziona così da tempo a Cipro, funziona così alla frontiera tra Libano e Israele».

Quali sono stati i momenti salienti di questa fase del conflitto russo-ucraino, chiediamo. «Sicuramente l’ingresso delle forze russe e l’assedio a Kiev» risponde Negri, «due momenti che hanno determinato anche i limiti di questa aggressione. I russi probabilmente si aspettavano di penetrare molto più facilmente, e invece hanno affrontato una resistenza durissima, tanto da dover togliere l’assedio a Kiev e ritirarsi verso Kharkiv e il Donbass. All’inizio dell’operazione hanno messo in campo centotrentamila uomini con l’idea di occupare un paese – quando ne sarebbero serviti il triplo – e senza appoggio della popolazione. Loro speravano di essere accolti come liberatori almeno in certe regioni, e questo non è avvenuto».

Anche Negri condivide la difficoltà rispetto al dare cifre esatte sulle perdite militari. «Dovremmo chiedere i numeri alle opposte propagande. Abbiamo delle stime: gli inglesi parlano di venti/venticinquemila soldati persi dai russi, gli ucraini dicono trentamila. Zelens’kyj dice che ogni giorno muoiono cento militari ucraini, ma le mie fonti sul campo parlano di molto di più. Di fronte alla guerra di propaganda è sempre difficile discernere».

Rimane da capire quanto siamo ancora distanti da una pace. «Qua bisogna indovinare che limiti si ponga il Cremlino. Ci sono obiettivi minimi e obiettivi massimi. Quelli minimi li stiamo vedendo ora sul campo, la cattura del Donbass e l’occupazione di una parte della costa del Mar Nero ucraina. Quelli massimi consisterebbero nell’arrivare a Kiev e ribaltare il regime di Zelens’kyj. Come capite bene, c’è una forchetta molto ampia per cui ci saranno ancora operazioni militari, temo, per tutta l’estate».

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ALBERTO NEGRI:

Lorenzo Tecleme