Mentre l’Italia è distratta dall’elezione del presidente della Repubblica, sullo scacchiere internazionale si rischia che l’escalation di tensioni che si registra in Ucraina possa degenerare in un conflitto aperto.
Protagonisti internazionali della situazione sono da un lato la Russia, che continua ad ammassare truppe e armamenti al confine ucraino, e dall’altro Stati Uniti e Regno Unito, che ieri hanno annunciato l’evacuazione del proprio personale diplomatico. L’Unione Europea, invece, si trova tra due fuochi, poiché la fedeltà atlantica potrebbe comportare conseguenze sul prezzo del gas, già schizzato alle stelle.
Le origini della crisi ucraina
La crisi ucraina non è nuova e le sue origini risalgono ad otto anni fa, quando scoppiò il conflitto armato a est del Paese, il cosiddetto Donbass, tra le forze ucraine e i separatisti filorussi. «Le tensioni in questo periodo sono aumentate anche a causa del fallimento dei negoziati di pace, gli accordi di Minsk – spiega ai nostri microfoni Claudia Bettiol, collaboratrice dell’Osservatorio Balcani Caucaso che si trova a Kiev – e anche dell’idea che l’Ucraina debba entrare a far parte della Nato».
Di qui una scena che si ripete costantemente da otto anni a questa parte: l’ammassamento di truppe russe al confine, cui è seguito un dispiegamento militare occidentale, in particolare di Usa e Uk, in diversi Paesi dell’area. Una sorta di gara di provocazioni che rappresenta un’escalation.
Incerto il ruolo dell’Unione europea, che fino a questo momento ha supportato la causa ucraina, ma perlopiù a parole. «Finore l’Ue non è mai stata unita e compatta – osserva Bettiol – dal momento che ogni Stato membro ha una propria politica economica e proprie relazioni nei confronti della Russia». Ammontano a 1,2 miliardi di euro gli aiuti umanitari che l’Ue ha stanziato e che sono in arrivo in Ucraina dopo l’inizio delle tensioni.
Intanto è atteso per domani a Parigi il vertice europeo in cui gli Stati membri cercheranno di trovare una quadra.
ASCOLTA L’INTERVISTA A CLAUDIA BETTIOL:
Le possibili conseguenze sul prezzo del gas
Oltre a ragioni di mercato, ci sono anche questioni geopolitiche alla base del caro bollette che l’Europa sta registrando negli ultimi mesi. E una di queste questioni riguarda proprio la crisi ucraina. La Russia di Putin potrebbe decidere di attuare ritorsioni nei confronti dell’Ue e chiudere ulteriormente i rubinetti che portano metano nel Vecchio Continente, causando un ulteriore rincaro dell’energia.
È per questo che, nei giorni scorsi, il presidente statunitense Joe Biden ha esercitato pressioni sul Qatar, affinché decida di aumentare le sue forniture di gas naturale all’Europa, per compensare il potenziale pericolo della chiusura dei rubinetti russi.
«La crisi energetica che stiamo vivendo è in parte raccontata dalla crisi ucraina – osserva ai nostri microfoni Francesco Sassi, ricercatore di Rie e dell’Università di Pisa – Le cause delle tensioni sono più complesse, ma questi eventi per noi italiani, consumatori del gas russo, sono centrali per quello che andremo a pagare in bolletta».
Sassi riporta che ieri sui mercati europei la valutazione del gas è salita del 20% in un solo giorno dopo settimane in cui il prezzo era in discesa, anche a causa di un inverno piuttosto mite in Europa.
Quella prospettata da Biden, però, non potrà essere una soluzione. Il Qatar è già una fonte di approvvigionamento per l’Europa, ma il suo gas arriva liquefatto attraverso delle navi gasiere e le forniture non potranno mai sostituire o avvicinarsi alle quantità di metano che arrivano attraverso i gasdotti dalla Russia. «Il Qatar è stato recentemente sorpassato come primo produttore mondiale di gas proprio dagli Stati Uniti – spiega il ricercatore – Il Qatar mira entro il 2026-2027 a tornare in prima posizione, ma nulla da qui ad allora lascia presagire che le tensioni geopolitiche, sia fra Stati Uniti e Russia, che fra Europa e Russia o Stati Uniti e Cina, non influiscano sul mercato energetico e sui prezzi che andremo a pagare da qui ad allora».
ASCOLTA L’INTERVISTA A FRANCESCO SASSI: