Una colomba bianca sulla bandiera ucraina campeggia nello spazio solitamente dedicato ai sovratitoli durante l’esecuzione in prima europea dello Stabat Mater della compositrice ucraina Hanna Havrylets caduta i primi giorni di guerra nella sua terra. A seguire la “Iolanta” di Čajkovskij, russo, ma dai profondi legami familiari con l’Ucraina tanto da aver soggiornato 28 anni a Kamianka scrivendovi alcune tra le sue più belle opere. A lui si deve il conservatorio di Kiyv che porta il suo nome e temi popolari ucraini si possono rintracciare in almeno 30 delle sue opere.

E’ Oksana Lyniv nell’articolo del programma di sala dedicato alle radici ucraine di Čajkovskij a fornire tante preziose informazioni sui legami del compositore con l’Ucraina anche se la direttrice d’orchestra, dopo la prima prova del concerto, ha dovuto assentarsi per una grave lombalgia, fa sapere il Teatro Comunale di Bologna. Teneva ad essere presente all’omaggio alla memoria della sua connazionale Hanna Havrylets eseguendo personalmente lo Stabat Mater, tuttavia ha dovuto essere sostituita per le due date dal Maestro Michael Güttler, recentemente ospite di prestigiose realtà musicali come il Festival di Glyndebourne, l’Opéra di Parigi e il Teatro Real di Madrid.

La commovente e densa composizione di Hanna Havrylets viene eseguita ad apertura della serata. Cantata Stabat Mater è stata composta nel 2002 su un testo medievale utilizzando sette leitmotive anche compenetrati tra di loro che conducono il pubblico al pensiero filosofico della morte come passaggio verso l’immortalità. Le sonorità del breve brano sono decisamente contemporanee: spigolosità acustiche, dissonanze e delicati interventi percussivi nella prima parte. Interventi di fiati solisti su un tappeto di violini e dolcissimi ed improsvvisi pianissimi. Dopo una parte vocale segue un momento strumentale di acuta tensione, quindi la melodia si apre fino a sfociare in un accogliente finale dominato dai timbri degli archi.

Al termine dell’intervallo viene eseguito l’idillio drammatico in un atto Iolanta, musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij e libretto di Modest Il’ič Čajkovskij tratto da La figlia di re Renato del poeta e drammaturgo danese Henrik Hertz. La favola è ambientata nella Provenza del XV secolo sotto il regno di Renato I, Duca D’Angiò e di Lorena e Conte di Provenza. Eliminato ogni accenno alla guerra dei cent’anni che allora imperversava l’azione si svolge in un giardino incantato colmo di piacevolezze.

I fratelli Čajkovskij ne traggono un libretto ricco di momenti lirici e di poesia mettendo in scena però non gli dei, come nelle opere wagneriane allora in voga, ma uomini e donne reali, in nome di un verismo alla Mascagni che convinceva Pëtr Il’ič perchè a suo avviso più capace di attivare la partecipazione emotiva del pubblico rispetto agli Dei del Valhalla.

Iolanta eseguita per la prma volta al Marinskij nel 1892 ebbe successo con il pubblico, ma fu stroncata dalla critica e per questo ebbe poca diffusione, eseguita talora in forma di concerto, come in queste sere al Teatro Comunale di Bologna.

Se pure, in tempi recenti, alcune grandi cantanti come Anna Netrebko hanno fatto di Iolanta uno dei loro cavalli di battaglia, rimane un titolo poco noto e per questo capace anche di sucsitare la curiosità del pubblico che il 7 e 9 aprile ha affollato il Comunale nonostante le tante sostituzioni intercorse fino al debutto.

Oltre alla direttrice Lyniv, sostituita da Güttler infatti anche la soprano Liudmyla Korsum nel ruolo del titolo è stata sostituita dall’ ucraina Yuliya Tkachenko. L’intero cast è internazionale: il tenore Arnold Rutkowski interpreta Vaudémont, il baritono Andrei Bondarenko è Robert, mentre Mihail Mihaylov canta il ruolo di Almérique, Petar Naydenov quello di Bertrand, Serban Vasile è Ibn-Hakia, Victoria Karkacheva canta il ruolo di Laura, Marina Ogii quello di Marta, Olga Dyadiv interpreta Brigitta e Rafal Siwek, infine, ha interpretato l’applauditissimo Re René.

La favola narra la storia di una principessa non vedente che il padre fa vivere nell’inconsapevolezza della sua disabilità impedendo alle sue ancelle di nominare la sua cecità, di confessarle che sia una principessa e che esista una realtà altra da quella che lei percepisce con il solo tatto ed udito esperibile con un senso di cui lei non conosce l’esistenza. Cresciuta nella menzogna e nell’inconsapevolezza, non desidera vedere, non sapendo cosa sia il vedere. Così, quando il padre conduce nel giardino incantato un medico mauritano in grado di guarirla, ella non è in grado di guarire perchè la cura, per essere efficace, deve comprendere il desiderio di vedere la realtà del mondo. Il desiderio arriva insieme all’amore. Per salvare colui che spezza l’inconsapevolezza in cui ha vissuto fino a quel momento facendole capire che esiste una realtà che non conosce, incomincia a desiderare di acquistare la vista salvando così se stessa e il suo amato.

La fiaba è veramente interessante rispetto al tema della costruzione della percezione della realtà. La narrazione riesce a farci capire il meccanismo delle fake news, della costruzione di una realtà che appare plausibile e reale fino a quando vi si è immersi e nulla e nessuno contraddice quella versione della verità. Che la realtà è una nostra rappresentazione, o una rappresentazione ben apparecchiata da altri per noi, dovremmo averlo ben capito anche alla luce di quello che vediamo sugli schermi dei nostri televisori ogni giorno, anche se molto spesso ci lasciamo abbindolare da abili manipolatori che costruiscono per noi giardini incantati molto invitanti, all’interno delle nostre bolle mediatiche.

Il testo della favola ruota attorno al tema della consapevolezza, della costruzione della coscienza di sé, del desiderio di guarigione e dell’amore. Sopra tutto aleggia il tema della pace e concordia tra i popoli perseguita all’epoca attraverso politiche matrimoniali, alleanze tra casate, oggi dovrebbe essere attuata attraverso trattati, mediazioni per il bene comune.

Lasciando il piano contenutistico e i rimandi alle odierne vicende di guerra, musicalmente Iolanta ha diversi elementi che meritano attenzione, primo tra tutti l’introduzione orchestrale affidata solo ai fiati con gli interventi dei corni e flauti a suscitare un clima di indeterminatezza, di sospensione. Poi si succedono 9 episodi durante i quali si presentano i personaggi coinvolti, si snoda la vicenda. Se Rimskij- Korsakov rimproverò al collega Čajkovskij proprio l’eccessiovo rilievo affidato ai fiati in quest’opera inserendo ben 3 flauti, ottavino, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, a noi ascoltatori del 2022 quest’opera appare così vicina e “moderna” proprio per queste parti così articolate dei fiati.

Applaudito Re Renè, ovvero il basso Rafal Siwek la cui parte è molto articolata e di rilievo ed è stata molto ben eseguita; ha suscitato molti applausi anche Serban Vasile nei panni del medico Ibn-Hakia e Andrei Bondarenko come Robert.

Soprattutto nella parte finale è mancata allo sguardo la parte registica, scenica a motivare i repentini cambi emitivi, le decisioni improvvise proprie di una fiaba che la regia avrebbe potuto gestire attarverso la gestualità, l’espressività dei corpi e degli sguardi. L’esecuzione in forma di concerto permette di apprezzare la musica, di seguire l’orchestrazione, ma fa perdere quella dimensione d’incanto che è propria di una fiaba che ha bisogno del supporto dell’illusione di un costume, di uno sguardo, di una mano tesa, di corpi che si incontrano per reggere alla brevità dei passaggi dalla disperazione alla felicità fino al giubili finale collettivo.

Pur avendo sentito la mancanza della versione scenica dell’opera di Čajkovskij, la serata è stata comunque molto intensa e ricca di significati avendo posto al centro la bandiera ucraina e la presenza di un cast di artisti di diverse provenienze attorno a musica di un compositore russo in un momento in cui da più parti stanno venendo divieti veri e propri o censure velate nei confronti delle opere russe, non capendo che l’unica via verso la pace è l’incontro tra culture e la conoscenza delle reciproche culture.