Prima Trump su Truth, poi Netanyahu su X e infine Hamas con una nota ufficiale: tra la mezzanotte e le 9:00 di questa mattina, è stato raggiunta un’intesa tra tutte le parti coinvolte per la prima parte dell’accordo di pace presentato a Washington il 29 settembre dal presidente statunitense e israeliano.
Nonostante i festeggiamenti sui social e anche nelle strade della Striscia a seguito dell’annuncio, la strada è ancora in salita e tappezzata da crateri di esplosivi: sebbene i primi punti siano stati concordati, c’è ancora molta incertezza sui dettagli concreti della loro applicazione, mentre il resto dei 20 punti dev’essere ancora oggetto di trattativa. Nel frattempo, i combattimenti continuano, come certificato dall’Idf, che continua a circondare con i suoi uomini e mezzi l’area a nord di Gaza City.

Cosa prevede l’accordo tra Israele e Hamas?

Le novità ufficiali vengono da notizie incomplete o dalle parole dei diretti interessati: a detta di Trump, «tutti gli ostaggi saranno rilasciati molto presto e Israele ritirerà le sue truppe secondo una linea concordata». Gli fa eco Netanyahu: «Con l’approvazione della prima fase del piano, tutti gli ostaggi torneranno a casa. Si tratta di un successo diplomatico e una vittoria morale per lo stato di Israele». Per quanto riguarda lo scambio di prigionieri, secondo il Times of Israel, Israele rilascerà 1.950 prigionieri palestinesi in cambio di 20 ostaggi ancora in vita – tra cui 250 ergastolani e altri 1.700 detenuti dall’inizio della guerra – entro la giornata di sabato.

Sebbene anche Hamas confermi ed estenda le dichiarazioni dei due leader («l’accordo determina la fine della guerra a Gaza, il ritiro dell’Idf, l’ingresso di aiuti e lo scambio di prigionieri»), tempi e modalità del ritiro delle truppe dai territori occupati e la consegna dei viveri sono ancora sconosciuti. Non è chiaro, inoltre, se questi ultimi negoziati abbiano cambiato i piani sull’esclusione di Hamas dal futuro governo della Striscia, e la sua completa demilitarizzazione.
Mahmoud Abbas, presidente dell’autorità palestinese, ha espresso il suo supporto per le condizioni finora trattate dalle parti, augurandosi che questi sforzi possano portare a una risoluzione politica e sociale permanente, a cominciare dalla creazione di uno Stato palestinese indipendente dall’occupazione di Israele.

L’incognita sulla pace: Israele non ha mai rispettato un patto, lo farà stavolta?

Ruba Salih, antropologa e docente palestinese all’Università di Bologna, ha voluto ricordare che l’accordo «non porta garanzie verso la fine dell’occupazione, dell’apartheid e del genocidio, perché è stato realizzato al di fuori di qualunque risoluzione del diritto internazionale ed è un accordo privo di qualunque garanzia. Il mio grandissimo timore – continua la docente – è che una volta che Israele abbia ottenuto il rilascio dei suoi prigionieri, troverà qualunque scusa per riprendere i bombardamenti contro la popolazione civile di Gaza. Netanyahu ha già detto che se Hamas dovesse sostenere una posizione che secondo l’opinione arbitraria di Israele – che non ritiene mai di avere bisogno di mostrare nessuna evidenza o prova – venga meno all’accordo, i bombardamenti riprenderanno come prima».

Ad alimentare la sfiducia della docente sono i pessimi trascorsi tra Israele e accordi simili firmati in passato con la leadership palestinese, e la totale impunità con cui Israele continua a violare sistematicamente ogni risoluzione, accordo, patto e cessate il fuoco. «Israele non ha mai nella sua storia rispettato alcun accordo che abbia firmato con i palestinesi, perché è uno stato impunito abituato a fare ciò che vuole. Un bullo violento senza freni».

Si tratta di una storia già vista. Da Oslo in poi, per esempio, Israele invece di rispettare il piano in più fasi, ha continuato ad espropriare terra ai palestinesi e a costruirci insediamenti illegali, ha costruito muri di separazione, imposto check points ovunque, rubato soldi delle tasse palestinesi e ucciso impunemente. Nonostante le risoluzioni della Corte di Giustizia internazionale, nessuno ha mai ritenuto di fare nulla per obbligare lo stato di Israele a rispettare alcuna norma o accordo.

«Ricordo anche nel lontano 1982 – dice la professoressa – una data impressa nella memoria palestinese quando dopo la tregua e piano di pace, in seguito all’esilio dell’ O.L.P. dal Libano ci fu lo sterminio di migliaia di palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila ad opera delle milizie falangiste con la supervisione e il benestare dei militari israeliani».

Più di recente, a Marzo 2025, come ricorda Salih, «Israele dopo poche settimane ha infranto il cessate il fuoco e ripreso gli attacchi contro i civili e continuato nella sua politica genocidaria contro la popolazione palestinese. Oggi come ieri rimane da vedere se, come e quando un eventuale mancato rispetto dei termini degli accordi da parte dello stato ebraico, possa comportare la fine di questa storica impunità di Israele».

La vaghezza dei punti che costituiscono l’accordo sono, secondo l’antropologa, una scelta deliberata: «I punti sono nebulosi non a caso e in questi due anni i paesi arabi, nella fattispecie il Qatar, hanno operato in totale complicità col piano imperiale e coloniale di Trump e Netanyahu di una Riviera costruita sulle macerie e i corpi martoriati della popolazione palestinese, per questo non costituiscono una voce neutrale che facilita la liberazione del popolo e della terra palestinese, che è l’obiettivo per il raggiungimento della giustizia, senza la quale non ci sarà mai pace. Per tutte queste ragioni non ci sono grandi garanzie in nessun senso, soprattutto se quello che abbiamo vissuto nella storia passata e recente può presagire quello che potrebbe succedere nelle prossime settimane».

Salih conclude sottolineando la debolezza di accordi simili, se non vengono sostenuti da una cornice di reale giustizia e liberazione: «Se l’accordo non si basa nemmeno su nessuna delle risoluzioni reiterate dalla Corte Internazionale di Giustizia e dall’Assemblea Generale dell’ONU nel corso degli anni (fine dell’occupazione militare, e ritiro dell’esercito israeliano dalla Cisgiordania, da Gaza e da Gerusalemme Est, occupate secondo il diritto internazionale, fine dell’apartheid anche all’interno dei territori del 1948, dove i palestinesi continuano a vivere come cittadini di serie B), non ci sarà giustizia e quindi non ci sarà pace. Detto questo, in questo momento qualunque cosa che ponga fine alla necropolitica genocidaria israeliana che da mesi e anni infligge morte e menomazione a bambini, uomini e donne palestinesi non può che essere di sollievo: questo genocidio del nostro popolo e della nostra gente, l’affamamento, la privazione dei più elementari diritti umani deve finire ora, è già drammaticamente troppo tardi».

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