In Italia quasi 6 milioni di persone, cioè ormai un cittadino su 10, non riescono a coprire le spese per beni e servizi essenziali, dal cibo alla casa, dalla salute all’istruzione. La fotografia della povertà assoluta nel 2024, scattata dall’Istat, racconta di un Paese con fragilità strutturali e disuguaglianze marcate.
Un dato in netto aumento rispetto a cinque anni fa. Nel 2019, infatti, la povertà assoluta colpiva 4,6 milioni di persone.
Chi sono le persone in povertà assoluta?
La povertà assoluta colpisce in modo particolare gli stranieri, con oltre uno su tre classificato in questa condizione. Tra le famiglie composte esclusivamente da stranieri, il tasso sale al 35,2%, mentre nelle famiglie con almeno un componente straniero è del 30,4%. Tuttavia, in termini assoluti, due terzi delle famiglie povere sono italiane, evidenziando che la povertà non è solo un fenomeno legato alla cittadinanza.
Particolarmente preoccupante è la situazione dei minori: 1,28 milioni di bambini e ragazzi, pari al 13,8% del totale, vivono in povertà assoluta. La condizione è più grave nel Mezzogiorno, dove la percentuale raggiunge il 16,4%, mentre nel Centro Italia si attesta al 12,1%. Tra i bambini dai 7 ai 13 anni, la quota arriva al 14,9%. Le famiglie con almeno un minore in condizioni di povertà assoluta sono circa 734mila e l’intensità della povertà in queste famiglie è superiore alla media nazionale, toccando il 21% rispetto al 18,4% del totale.
A maggior rischio sono le famiglie più numerose, quelle guidate da operai o con titoli di studio più bassi. Nelle famiglie con cinque o più componenti, l’incidenza della povertà assoluta raggiunge il 21,2%, mentre nelle famiglie con tre membri scende all’8,6%. Tra le famiglie in cui il capofamiglia è un operaio, l’incidenza è del 15,6%, contro l’8,7% tra i lavoratori dipendenti in generale. Anche il titolo di studio gioca un ruolo importante: chi ha conseguito almeno un diploma di scuola secondaria superiore presenta un’incidenza di povertà del 4,2%, mentre chi ha al massimo la licenza media arriva al 12,8%, con un picco del 14,4% per chi ha solo la licenza elementare.
Il divario geografico è evidente. Il Mezzogiorno registra l’incidenza più alta di povertà assoluta tra le famiglie, pari al 10,5%, seguito dal Nord-Ovest con l’8,1% e dal Nord-Est con il 7,6%, mentre il Centro resta l’area meno colpita con il 6,5%. Tuttavia, in termini assoluti, quasi la metà delle famiglie povere risiede al Nord (44,5%), il 39,8% nel Mezzogiorno e il 15,7% al Centro.
Nonostante i livelli di povertà restino sostanzialmente stabili rispetto al 2023, il confronto con il periodo pre-Covid mostra un aumento di 1,1 milioni di persone povere negli ultimi cinque anni.
Le cause dell’aumento della povertà assoluta: inflazione e lavoro povero
«I dati Istat rivelano sostanzialmente che la povertà assoluta si sta cronicizzando», osserva ai nostri microfoni Antonio Russo, portavoce dell’Alleanza contro la Povertà, che raduna decine di associazioni che si occupano del tema.
Le principali ragioni sono di due tipi. Da un lato, l’inflazione che ha attanagliato l’Italia e l’Europa negli ultimi anni. «L’inflazione è una tassa piatta che colpisce soprattutto i più poveri», sottolinea Russo. La perdita del potere d’acquisto delle persone negli ultimi anni determinata dagli aumenti dei costi energetici, alimentari e di altri settori ne ha fatta scivolare una buona fetta nella povertà assoluta.
Per contro, però, l’Istat segnala che persiste il problema del lavoro povero, il cosiddetto fenomeno dei working poors, cioè persone che svolgendo uno o due lavori non riescono a garantitsi una condizione di benessere.
La precarietà lavorativa e le paghe basse sono un elemento dirimente per la trasformazione che è avvenuta anche nel nostro Paese, quella per cui il reddito da lavoro non è più un ascensore sociale, un fattore che consente alle persone di emanciparsi e mettersi in una condizione di sicurezza sociale.
Il portavoce dell’Alleanza contro la povertà, però, sottolinea anche il ruolo del welfare, di cui è necessaria una riforma. «Anzitutto va ripristinato il concetto dell’universalità – sottolinea Russo – perché con l’abolizione del Reddito di Cittadinanza e l’introduzione dell’assegno unico si è tagliata fuori una grande platea di persone che possono avere accesso a strumenti di sostegno».
Per Russo, però, non è solo un sussidio economico lo strumento necessario per contrastare la povertà assoluta. Anche il mancato accesso a cure sanitarie, determinato ad esempio dalle liste d’attesa e dalla prospettiva, spesso unica, di rivolgersi alla sanità privata, è un fattore dirimente.
ASCOLTA L’INTERVISTA AD ANTONIO RUSSO:
La povertà alimentare: mangiare male per necessità
All’interno delle molteplici forme che ha assunto la povertà, troviamo anche in Italia quella alimentare. «Non dobbiamo pensare a gravi forme di insicurezza alimentare – precisa ai nostri microfoni Roberto Sensi di Action Aid, che ha condotto uno studio sul tema – ma di un fenomeno molto diffuso, che riguarda almeno sei milioni di persone, che riguarda persone che vivono difficoltà quotidiane ad accedere ad un cibo adeguato».
Difficoltà che possono essere determinate dalla mancanza di reddito sufficiente o ad esempio dalla difficoltà di poter liberamente uscire a cena o ancora da scelte alimentari ripetitive e poco variate determinate da limiti nelle risorse.
Tutto ciò genera un circolo vizioso, perché la cattiva alimentazione ha un impatto anche sulla salute. «Non solo quella fisica – sottolinea Sensi – ma anche quella psicologica, perché il cibo è un vettore di socialità. Noi abbiamo fatto un focus sugli adolescenti: quando devono rinunciare a questa opportunità perché non hanno le risorse, ciò ha un impatto anche sul benessere emotivo di queste persone».
Le soluzioni, anche in questo caso, passano dall’aiuto, dalla solidarietà. Ma anche da politiche pubbliche, come l’accesso universale alle mense, e politiche più ampie per la riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali.
ASCOLTA L’INTERVISTA A ROBERTO SENSI:







