È trascorso il primo 25 aprile del governo Meloni e per la prima volta i diretti eredi del Movimento Sociale Italiano, a sua volta discendente del fascismo storico, si sono misurati con la Festa della Liberazione ricoprendo le più alte cariche istituzionali.
Molti osservatori hanno rimarcato le ambiguità, tanto nelle dichiarazioni degli esponenti di governo, Fratelli d’Italia in primis, quanto nel tentativo di disertare le celebrazioni. Ignazio La Russa, presidente del Senato, seconda carica dello Stato, è fuggito a Praga per commemorare Jan Palach, dissidente anti-comunista, che però si diede fuoco il 19 gennaio 1969. La premier Giorgia Meloni è stata all’Altare della Patria, dove la commemorazione è durata appena dieci minuti.

Il 25 aprile l’estrema destra accetta l’antifascismo equiparandolo all’anticomunismo

Oltre alle presenze, però, è il tema delle dichiarazioni quello a rimarcare una certa fatica della destra nel chiudere definitivamente col proprio passato. E quando lo fa, ipoteca la presa di distanza controbilanciandola con l’anticomunismo.
La stessa Meloni ha proposto di celebrare la “Festa della Libertà”, che cadrebbe il 18 aprile, in memoria del 1948, quando il fronte delle sinistre venne sconfitto nelle urne dalla Democrazia Cristiana nelle prime elezioni dell’era repubblicana.

A chiarire il sentimento di Fratelli d’Italia è La Russa che, ad una domanda esplicita dei giornalisti sull’essere o meno antifascista, ha risposto dicendo che dipende cosa si intende per antifascismo. Con un giro di parole La Russa ha detto di essere antifascista nel senso di “non nostalgico”.
Più nette sono sembrate le parole del sottosegretario Galeazzo Bignami, che dal palcoscenico di Bologna ha definito “infami” le leggi razziali. Bignami ciclicamente finisce nell’occhio del ciclone per una vecchia foto in cui indossava la divisa nazista.

Lo storico Luca Alessandrini mostra un certo ottimismo nel commentare le mosse di Fdi a proposito di antifascismo. «I ribelli di Fini che hanno rifiutato la svolta di Fiuggi alla fine riconoscere l’antifascismo, seppure con tanta fatica e tanta reticenza – osserva Alessandrini – Man mano che la destra va al governo deve fare i conti con l’antifascismo e l’antifascismo vince».
Lo storico cita le parole di Gianfranco Fini, che fu costretto a definire il fascismo “male assoluto”, ma cita anche Silvio Berlusconi che nel 2009, dopo aver mostrato più volte ostilità alla Resistenza e alla Costituzione definita “sovietica”, a quindici anni dalla discesa in politica, definì l’antifascismo la base della Costituzione democratica.

Nell’essere istituzionalmente costretti a riconoscere l’antifascismo, i meloniani però mettono un’ipoteca, che è appunto l’anticomunismo. È per questo, ad esempio, che Fdi si rifà più volte all’improvvida risoluzione del Parlamento europeo che equiparò fascismo e comunismo.
In ogni caso, ricorda Alessandrini, «non è una novità: il conflitto tra moderatismo italiano, che accusava la Resistenza di aver avuto una componente comunista troppo forte e un’idea di antifascismo unitario c’è stato nella corrente di destra della Dc negli anni ’50 ed è riemerso con il craxismo, in particolare con l’intervista a fine anni ’80 a Renzo De Felice, che sosteneva che i comunisti erano antifascisti, ma non democratici».

La riconciliazione c’è già stata, manca la completa accettazione dei post-fascisti

Alcuni quotidiani in questi giorni evocano il tema della riconciliazione a proposito delle parole, seppur faticose, di Meloni e soci. In realtà, sottolinea lo storico, la riconciliazione in Italia c’è già stata. Dapprima con le disposizioni transitorie e finali della Costituzione, che interdivano le cariche pubbliche agli ex dirigenti fascisti per soli cinque anni, nella convinzione che la democrazia avrebbe vinto e anche loro sarebbero diventati democratici.
Poi con l’amnistia del 1946, oggi conosciuta come Amnistia Togliatti. «Esclusi i criminali più grossi, cioè i massimi dirigenti della Rsi e i comandanti militari, tutti i fascisti vengono amnistiati perché considerati persone che si erano fatte entusiasmare da una dottrina politica sbagliata o erano state irretite da una propaganda ingannevole».

La riconciliazione, dunque, c’è già stata e, secondo Alessandrini, a mancare all’appello è solamente che i post-fascisti accettino completamente il gioco della Costituzione.
«Non può esservi riconciliazione tra antifascismo e fascismo, perché il fascismo è un crimine – osserva lo storico – Sarebbe come dire che Totò Riina debba riconciliarsi con Giovanni Falcone o che Matteotti dovesse riconciliarsi con Mussolini. È impensabile. La grande riconciliazione politica c’è già stata. La riconciliazione tra fascismo e antifascismo è inconcepibile».

ASCOLTA L’INTERVISTA A LUCA ALESSANDRINI: