In un periodo in cui il tema della sicurezza energetica è al centro del dibattito pubblico – complice il conflitto russo-ucraino e il rincaro bollette – il governo italiano sembra avere le idee molto chiare su come pensa di poterla garantire. Il gas metano è il principale indiziato per la transizione energetica dei prossimi anni, con una serie di nuovi progetti e infrastrutture che verranno sparse per tutta la Penisola, Emilia-Romagna compresa.

Nel porto di Ravenna, infatti, è prevista tra un anno l’installazione di un rigassificatore del gas liquefatto importato dall’estero tramite container navali: la risposta di comitati e campagne informative è stata pronta fin dal suo annuncio, e i prossimi appuntamenti sono previsti il 27 aprile a Bologna (ore 18, al Centro Sociale G. Costa, con un’assemblea pubblica) e il 6 maggio a Ravenna con un corteo nazionale indetto dalla Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia-Romagna e dalla campagna nazionale Per il clima, fuori dal fossile. Partenza della manifestazione alle ore 14 in via Darsena 19. Giuseppe Tadolini, portavoce ravennate di Per il clima, fuori dal fossile, ci ha raggiunti al microfono per parlarne.

Territori in cammino contro rigassificatori, gasdotti e cattura del carbonio

«Entrambi gli appuntamenti si inseriscono in un percorso dal nome “Territori in cammino“, che ha visto scendere in piazza le attiviste e gli attivisti per la giustizia climatica già in diverse occasioni – esordisce Tadolini – in corteo al porto di Piombino, lo scorso 11 marzo, contro l’arrivo del nuovo rigassificatore, e in assemblea in diverse città della regione Emilia».

Il perno della manifestazione del 6 maggio sarà contrastare la costruzione nel porto di Ravenna di un rigassificatore uguale a quello di Piombino, previsto tra poco più di un anno ad opera della multinazionale SNAM e parte di un piano energetico nazionale che intende fare lo stesso nei porti di diverse città costiere. Il rigassificatore, però, è solo la punta dell’iceberg di una politica a tinte fossili molto più ampia: «l’estrattivismo fossile, in Italia, ha in cantiere diversi progetti paralleli a quello di Ravenna. – continua Tadolini – Restando su queste coste c’è quello di costruire enormi impianti di sequestro e stoccaggio dell’anidride carbonica, ingrandendo il raggio, invece, quello di prolungare il gasdotto adratico che attualmente si ferma a Sulmona, facendolo arrivare fino a Minerbio, in provincia di Bologna. Per intederci, farebbe da raccordo tra il Nord Italia e il TAP per trasportare comodamente il gas importato dal regime azero». Utilizzare così massicciamente le fonti fossili dopo aver parlato di transizione ecologica, a detta dell’attivista ravennate «è sintomo di malafede o ignoranza del significato delle parole».

Viene da chiedersi perché si continui a investire su nuovi progetti fossili nonostante i decennali ammonimenti della scienza del clima, perchè implementare oggi nuove infrastrutture significa dover garantire tempi tecnici di ammortamento dei costi e massimizzazione dei profitti agli investitori delle multinazionali. Questo comporta le cosiddette “emissioni stanziate”, ossia quelle emissioni di carbonio previste in fase progettuale, che con le attualli politiche energetiche italiane ci metterebbero fuori gioco nell’ottica di raggiungere le emissioni zero al 2050. Il gas metano, infatti, risiede in atmosfera per soli 10-15 anni, ma in quell’arco di tempo ha un potenziale di riscaldamento globale (GWP – Global Warming Potential, seconda la sigla tecnica internazionale) fino a 85 volte maggiore della centenaria CO2. Inutile dire che si tratti di una falsa soluzione per la crisi climatica e la transizione energetica. Più utile, invece, chiedersi perchè le multinazionali italiane dell’energia (ENI, SNAM, ENEL) si concentrino su queste scelte di business invece che andare dritti sulle rinnovabili.

«La risposta è solo una: il profitto. – conclude Tadolini – Le fonti attualmente più utilizzate non sono molto lontane dal venire terminate, e in previsione di questo rapido esaurimento i giganti del fossile hanno deciso di dare l’assalto a tutto quello che resta, finché che ce n’è. Questo spiega la miriade di intralci, burocratici e non, che le rinnovabili stanno soffrendo, ma attenzione: non dobbiamo dare il via alle rinnovabili senza se, senza ma e in ogni dove. Bisogna insistere sulla necessità di costruire un modello nuovo e diverso, basato più su una produzione energetica decentrata e il più possibile vicina alle comunità e alle loro necessità».

ASCOLTA L’INTERVISTA A GIUSEPPE TADOLINI:

Andrea Mancuso