Oltre 160 organizzazioni umanitarie e della società civile hanno lanciato un appello urgente per porre fine a quello che definiscono un sistema “letale” di distribuzione degli aiuti imposto da Israele nella Striscia di Gaza e gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation.
Le ong chiedono il ripristino del coordinamento umanitario da parte delle Nazioni Unite e la revoca immediata del blocco che impedisce l’ingresso di aiuti e beni commerciali nel territorio palestinese.
Il sistema israelo-statunitense ha già provocato la morte di oltre 500 civili palestinesi, falcidiati dall’esercito israeliano nel momento in cui cercavano di reperire cibo per le prorprie famiglie.

Un appello delle ong contro la gestione della GHF degli aiuti umanitari a Gaza

Secondo i firmatari dell’appello, il meccanismo attualmente in vigore, che comprende la cosiddetta Gaza Humanitarian Foundation, ha sostituito i 400 punti di distribuzione attivi durante l’ultima tregua con soli quattro siti controllati militarmente. Questo ha costretto oltre due milioni di persone a spostarsi verso aree sovraffollate e pericolose, esponendole quotidianamente a bombardamenti e a gravi rischi mentre cercano cibo o beni essenziali per la sopravvivenza.
Le organizzazioni denunciano come, nelle settimane successive all’implementazione di questo nuovo schema, la situazione sia precipitata fino a raggiungere livelli di violenza e sofferenza senza precedenti dall’inizio del conflitto. Oltre 500 civili palestinesi sono stati uccisi e quasi 4mila feriti mentre cercavano semplicemente di accedere o distribuire aiuti. Forze israeliane e gruppi armati, talvolta con il sostegno diretto delle autorità israeliane, aprono regolarmente il fuoco su civili disarmati, esasperati dalla fame.

Il sistema umanitario, secondo le ong, è stato smantellato in modo deliberato e strumentalizzato per giustificare la chiusura delle operazioni umanitarie. Le attuali modalità di distribuzione non garantiscono né sicurezza né accesso equo agli aiuti e hanno trasformato l’assistenza in una trappola mortale. La popolazione è costretta a percorrere lunghi tragitti in condizioni estreme, attraversando zone attive del conflitto, solo per essere ammassata in spazi chiusi, recintati e militarizzati, dove esplodono scene di caos, violenza e, spesso, tragedia.
Molti dei luoghi di distribuzione si sono trasformati in teatri di massacri. In più della metà degli attacchi documentati a danno di civili, erano coinvolti bambini e bambine. Diverse persone ferite sono rimaste senza soccorsi per ore, con ambulanze impossibilitate a intervenire e strutture sanitarie incapaci di offrire cure adeguate.

«È una trappola per uccidere le persone, per farle morire lì». Così l’ong ActionAid, una delle firmatarie dell’appello, descrive il sistema di gestione degli aiuti da parte della Gaza Humanitarian Foundation. «L’intento deliberato delle autorità israeliane – osserva ai nostri microfoni Emanuele Crespi, responsabile umanitario di Action Aid – sembra proprio quello di raggruppare i palestinesi, che ormai da mesi vivono una sorta di carestia perenne e sono alla disperata ricerca di cibo e di acqua, in alcuni luoghi sui quali poi vengono sparati colpi da parte dell’esercito israeliano. È qualcosa di completamente disumano che noi non smetteremo di denunciare».

Il sistema sanitario, già duramente provato, è ormai al collasso. Mancano carburante, acqua potabile, medicinali, elettricità. Panifici, ospedali e mezzi di soccorso sono paralizzati. Le famiglie sopravvivono sotto teli di plastica, cucinano tra le macerie con quel poco che riescono a recuperare, senza alcun supporto.
Le testimonianze raccolte dalle ong descrivono una realtà di fame estrema, simile alla carestia. Molti raccontano di non avere più la forza fisica per contendersi le razioni di cibo. Chi riesce a portare qualcosa a casa spesso si ritrova con alimenti difficili da cucinare e privi di valore nutritivo. La situazione, già insostenibile, peggiora giorno dopo giorno.

Secondo la Sphere Association, l’approccio adottato dalla Gaza Humanitarian Foundation non rispetta gli standard minimi dell’assistenza umanitaria né i principi fondamentali di neutralità, imparzialità e protezione dei civili. Concentrando milioni di persone in zone ristrette senza offrire reali garanzie di sicurezza, questo modello rischia di diventare una forma sistematica di disumanizzazione sotto gli occhi della comunità internazionale.

Il 15 giugno, l’ospedale da campo della Croce Rossa di al-Mawasi ha ricevuto almeno 170 feriti in un solo giorno, colpiti mentre cercavano di raggiungere un punto di distribuzione alimentare. Il giorno seguente, le persone soccorse sono state oltre 200: si è trattato del numero più alto registrato in un singolo episodio di vittime di massa a Gaza. Ventotto di loro non ce l’hanno fatta. Un funzionario dell’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato: «Ogni volta che vengono organizzate distribuzioni alimentari da attori non appartenenti alle Nazioni Unite, si verificano incidenti con un numero elevato di vittime».

Le organizzazioni firmatarie chiedono con forza che la comunità internazionale respinga la logica binaria che impone la scelta tra un sistema militarizzato di distribuzione degli aiuti e la loro completa negazione. I governi devono rispettare il diritto internazionale umanitario, cessare gli sfollamenti forzati, fermare gli attacchi indiscriminati e rimuovere ogni ostacolo all’assistenza umanitaria. Chiedono inoltre il ripristino urgente di un meccanismo di coordinamento guidato dalle Nazioni Unite, che includa l’Unrwa e le organizzazioni della società civile palestinese.
L’appello si conclude con la richiesta di un cessate il fuoco immediato e duraturo, la liberazione di tutte le persone trattenute arbitrariamente, il pieno accesso umanitario e l’avvio di un processo serio per accertare le responsabilità delle gravi violazioni del diritto internazionale che stanno alimentando una spirale continua di morte e negazione della dignità umana.

ASCOLTA L’INTERVISTA A EMANUELE CRESPI: