È stato depositato ieri alle Camere il nuovo Documento Programmatico Pluriennale (Dpp) della Difesa per il biennio 2025 – 2027, i cui contenuti e tempistiche hanno destato non poca preoccupazione agli addetti ai lavori, dentro e fuori il Parlamento. Le criticità principali, individuate da Francesco Vignarca, analista del Milex (osservatorio sulle spese militari italiane), riguardano una trasparenza carente sui dati e sulle proprità operative, insieme al ritardo nella trasmissione agli organi legislativi e alla mancata rendicontazione verso organismi internazionale (Osce, Sipri, ecc).
La prospettiva di avere a che fare con un documento nebuloso e in completo, dunque, non è delle migliori, soprattutto sin da quando Donald Trump ha “esortato” i paesi Nato a raggiungere il 2% del Pil da dedicare alle spese militari. Esortazione che si è collocata in un contesto dove i pilastri del welfare state europeo stanno sempre più subendo il colpo delle tensioni internazionali e, naturalmente, del conflitto in Ucraina e del genocidio a Gaza.
Quali sono le lacune del Dpp?
Vignarca elabora meglio le lacune del documento, a partire dal ritardo nella consegna: «Un documento di programmazione dovrebbe fornire ai parlamentari i dettagli rispetto a alle spese future dei sistemi d’arma. Per questo, la legge prevede che venga consegnato alle Camere già entro aprile, mentre è stato fatto ad ottobre, e ricevere tutto così tardi, quando ormai i soldi sono stati spesi, rende tutto inutile».
C’è poi il nodo della scarsa chiarezza nei dettagli di spesa: «Fino all’anno scorso – continua – c’era una spiegazione molto più dettagliata sulla composizione della spesa, e le segnalazioni agli organi della Nato, e ad altri come Osce e Cipri. Inoltre, rimane inspiegato il miracolo di essere arrivati al 2% del Pil, quando l’anno scorso eravamo attorno al 1,5%, e aver guadagnato dal nulla i 10 miliardi di euro necessari per fare questo balzo». Infine Vignara approfondisce la mancata rendicontazione del costo già sostenuto, cioè delle spese per armamenti e programmi militari in passato, perché altrimenti «non percepisce quello che è davvero la dinamica relativa a qualsiasi sistema d’arma».
Le discrepanze delle spese militari rispetto al passato
Milex nel suo articolo è riuscita a fare una stima dei dati che il Dpp omette, ma Vignarca ammette che si tratta di un passo indietro rispetto a precedenti pubblicazioni: «Il documento di quest’anno è proprio cambiato nella forma, nella tipologia, nella redazione e ha perso delle informazioni che c’erano molto utili. Sappiamo che nel comparto delle spese militari si vuole rimanere opachi, però quantomeno incrociando i dati della legge di bilancio con quelli del Dpp è stato possibile fare delle analisi maggiormente dettagliate».
L’analista continua dicendo che l’omissione di questi dettagli, decisa a ridosso di qualche mese dell’incremento richiesto da Trump, non sia frutto di una coincidenza: «Crediamo che ci sia una volontà dietro questa linea d’azione, quindi nel momento in cui bisognerebbe rafforzare la trasparenza e le informazioni fornite al Parlamento e all’opinione pubblica, si decide invece di diminuirle per arrivare ai prossimi incontri Nato con i conti più in regola». L’esempio più eclatante che suggerisce tale volontà è stato quando il Governo ha tentato di inserire gli investimenti del ponte sullo stretto di Messina nelle spese militari, tentativo poi respinto dagli stessi amministratori Nato.
Attualmente, il Governo punta a stanziare il 5% del Pil alla spesa militare entro il 2035, secondo le direttive Nato, ma per Vignarca «sembra che si stia giocando al gioco delle tre carte, perché si tratta di standard irraggiungibili e che non hanno senso perché sono basati sul Pil. Come possiamo fare previsioni sugli stanziamenti se non sappiamo quale sarà il Pil dei prossimi anni? Tutto ciò serve solo per assecondare gli Stati Uniti e i guadagni di chi produce armi».«Questo è grave – conclude Vignarca – dato che ad ogni aumento di spesa militare corrisponderà un taglio di spesa in altri comparti: meno soldi per la scuola, per le infrastrutture civili, per la sanità, e per il welfare in generale».
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