Se non è una crisi di governo, poco ci manca. Dopo aver ceduto obtorto collo la poltrona di Palazzo Chigi a Mario Draghi, dopo aver subito la scissione di Di Maio e del suo Insieme per il Futuro, il Movimento 5 Stelle guidato da Giuseppe Conte sembra deciso a uscire dalla maggioranza di governo. Anche l’estremo tentativo di mediazione del Ministro Federico d’Incà è fallito: domani i senatori pentastellati non voteranno la fiducia all’esecutivo apposta sul Decreto Legge Aiuti, e usciranno dall’aula. Il governo, almeno sulla carta, ha i numeri per andare avanti anche senza Conte e i suoi. Ma lo smacco politico è notevole, e le dichiarazioni delle ultime ore sono infuocate.

«Non c’è governo senza Movimento 5 Stelle e non c’è governo Draghi oltre a quello attuale» ha detto due giorni fa in conferenza stampa il Presidente del Consiglio. Subito ha rincarato la dose il segretario del Partito Democratico Enrico Letta: «questo è in ogni caso l’ultimo governo della legislatura». Se tutti restano sulle posizione espresse fin’ora, l’unico esito possibile sembra essere il ritorno alle urne. Ma la politica non è una scienza esatta, e molti fattori giocano a favore della stabilità – dai parlamentari spaventati dal voto anticipato alla, fin’ora, chiara riluttanza del Presidente Sergio Mattarella rispetto all’ipotesi del voto.

Tensioni nel governo: si torna a parlare di voto anticipato

Nel momento in cui il governo Draghi traballa come mai prima, è necessario abbozzare un primo bilancio. «Se l’obiettivo era quello di portare a casa i fondi del PNRR, missione compiuta. Ma il punto è come quell’obiettivo si focalizza» a parlare è il sociologo della Scuola Normale Superiore di Firenze e fondatore di Jacobin Italia Lorenzo Zamponi. «L’impressione è che la tendenza sia stata quella di prendere i soldi e spenderli purché sia, senza alcuna prospettiva di lungo periodo. Mancano ragionamenti seri sulla politica industriale, sulla transizione ecologica e quella digitale. Sembra l’eterno vizio italiano: soldi come finanziamento a pioggia senza prospettiva. E perdere l’occasione quando i cordoni della borsa sono larghi è un problema, si finisce con l’indebitarsi senza raggiungere alcun obiettivo».

Due accuse vengono mosse in queste ore a carico di Conte: di irresponsabilità per aver aperto una crisi di governo nel mezzo di una serie di emergenze (pandemia, siccità, energia, economia, guerra) e di connivenza col nemico per star, secondo alcuni, indebolendo il fronte atlantico nella lotta contro la Russia. Quest’ultimo capo d’imputazione si accompagna in certi casi all’ipotesi di una mano putiniana nella genesi della crisi. «Se questo non è un momento giusto per una crisi, non lo era nemmeno maggio 2021 quando lo stesso Conte fu mandato a casa per fare spazio a Draghi. Allora erano i 5 Stelle ad accusare Italia Viva di irresponsabilità, oggi è il contrario. Sono polemiche che lasciano il tempo che trovano.

Per il resto, Draghi ha la maggioranza. Se davvero andare al voto è così pericoloso lui e Mattarella si faranno i loro conti e faranno sì che la legislatura vada avanti. Per ora le minacce di dimissioni sono arrivate solo dalla maggioranza». E per quanto riguarda la manina russa? «Non c’è cosa peggiore del complottismo degli anticomplottisti. Questo, per carità, non significa non esista contiguità tra pezzi della nostra politica e il regime russo, ma leggere tutto con questa chiave è fuorviante. Tanti governi sono andati in crisi in queste settimane in Europa, non facciamo Putin più potente di quanto non sia. Anche perché, lo ripeto, non mi pare Conte sia un rivoluzionario, e se c’è la volontà politica questa crisi può rientrare».

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Arriviamo a Conte. Se uscisse davvero dal governo si ritroverebbe rafforzato o indebolito, chiediamo. «Sono vere entrambe le cose. Uscirebbe indebolito nella sua integrazione nel sistema economico, politico e sociale di cui fa parte – che vivrebbe questo strappo come un tradimento. Ne uscirebbe probabilmente rafforzato a livello elettorale. Questo governo ha una sola opposizione – timidissima – nella destra radicale di Giorgia Meloni, mentre c’è un bel pezzo di elettorato che potremmo definire di centrosinistra che si sente discontento.

Se Conte se ne facesse carico avrebbe delle prospettive. Ovviamente è tutto da costruire, a partire dal fatto che con la legge elettorale attuale il Movimento 5 Stelle dovrebbe poi allearsi nuovamente col Partito Democratico con cui sta rompendo ora al momento del voto. Viviamo di certo una situazione particolare: un governo sostanzialmente senza opposizione. Questo blocca un sistema politico che avrebbe bisogno di dinamismo. Nei regimi democratici le risposte ai problemi si trovano tramite la dialettica tra posizioni diverse, non nell’unanimismo».

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Lorenzo Tecleme