La notizia è arrivata come una doccia fredda. La proprietà della Marelli vuole chiudere entro l’inizio del prossimo anno lo stabilimento di Crevalcore, in provincia di Bologna, e trasferire parte della produzione a Bari. I 230 operai e i sindacati metalmeccanici che li rappresentano, Fiom, Fim e Uilm, lo hanno saputo di sponda, perché l’annuncio è stato dato in un incontro a Roma.
Ufficialmente la ragione della chiusura è l’aumento dei costi dell’energia, ma anche «la dinamica negativa delle attività legate al motore endotermico che oggi porta a un utilizzo del 45% della capacità produttiva e calerebbe naturalmente anno dopo anno fino ad arrivare al 20% nel 2027», sostiene l’azienda.

Sciopero e lotta contro la chiusura dello stabilimento Marelli di Crevalcore

Immediata è stata la reazione dei lavoratori, che ieri hanno sospeso le proprie attività per un primo sciopero, mentre venerdì l’astensione dal lavoro durerà otto ore.
I sindacati contestano la scelta, che non prevede «alcun investimento per la transizione all’elettrico» e chiedono che la decisione venga ritirata e si apra un tavolo per garantire l’occupazione.
A reagire alla notizia sono state anche le istituzioni, in particolare Regione Emilia-Romagna e Città Metropolitana di Bologna. «Una decisione assurda e inaccettabile – si legge in una nota firmata da Stefano Bonaccini, Matteo Lepore e Vincenzo Colla – Non possiamo perdere una eccellenza del territorio, per storia e competenze, un pezzo importante della filiera della Motor Valley dell’Emilia-Romagna. Né permettere che vengano messi a rischio i posti di lavoro e la realtà produttiva. C’è una sola soluzione: il Fondo americano KKR riveda la decisione di chiudere lo stabilimento di Crevalcore».

«Finché non ci sarà l’incontro che abbiamo chiesto al Ministero dallo stabilimento di Crevalcore non uscirà un bullone», afferma ai nostri microfoni Mario Garagnani della Fiom-Cgil di Bologna. Il sindacalista risponde al telefono dall’interno della fabbrica, dove questa mattina si svolgono le assemblee con i lavoratori per decidere come svolgere la mobilitazione.
«L’annuncio della proprietà è irresponsabile – continua Garagnani – anche perché era all’interno di un percorso di trattativa in un ambito di transizione e riconversione dello stabilimento, ma la multinazionale non ha voluto evitare la strada della macelleria sociale e ha preso una decisione squisitamente economica: non è redditizio, allora chiudiamo e lasciamo la gente in mezzo alla strada».

Eppure, per i sindacati, la riconversione della fabbrica a produzioni ecologiche e sostenibile è possibile perché ci sono le professionalità e le strutture, che andrebbero accompagnate con ricerca e sviluppo il cui centro, per il gruppo, ha sede proprio a Bologna.
La riconversione sostenibile dell’automotive è un tema che viene discusso a livello mondiale, «ma il precedente che vuole creare Marelli è pericolosissimo – sottolinea il sindacalista – perché apre all’idea che a pagare questa transizione debbano essere lavoratrici e lavoratori».

La Fiom sottolinea anche che le risorse per la transizione potrebbe essere agevolata da risorse del Pnrr e del Ministero, quindi ancor più incomprensibile appare la scelta di chiudere lo stabilimento di Crevalcore.
Lo sciopero di venerdì riguarda tutti i seimila dipendenti degli stabilimenti Marelli in Italia e i sindacati fanno sapere fin da ora che l’unica soluzione possibile nella vertenza è quella che non lascia indietro nessuno.

ASCOLTA L’INTERVISTA A MARIO GARAGNANI: