L’Egitto è stato il primo paese al mondo a raggiungere gli obiettivi posti dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per il controllo dell’infezione da epatite C, una malattia virale cronica che colpisce in tutto il mondo circa 70 milioni di persone con oltre 400.000 decessi ogni anno.
L’Egitto, inoltre, è il principale candidato a diventare, nel prossimo futuro, il primo paese a eliminare completamente questo virus dal proprio territorio. Il risultato, celebrato nel 2023 con i complimenti della stessa OMS e il conferimento simbolico al paese dello stato di “livello oro” nella lotta alla epatite C, era tutt’altro che scontato.
Nel 2015 in Egitto l’epatite C rappresentava una emergenza sanitaria: 4 milioni di egiziani erano portatori di una infezione cronica da HCV (il virus che causa l’epatite C) con 50.000 nuove infezioni e 19.000 morti ogni anno. L’Egitto era tra i paesi al mondo con il maggior numero di malati e probabilmente il paese con il maggior numero di malati rispetto alla popolazione totale.
Un altro ostacolo era rappresentato delle terapie disponibili. Prima del 2013 l’unica cura disponibile per l’epatite C era una combinazione di farmaci, Interferone e Ribavirina, che dovevano essere assunti per lunghi periodi, con numerosi effetti collaterali e scarsa efficacia. L’Egitto tentò, tra il 2008 e il 2012, di implementare una strategia di controllo della epatite C affidandosi a questi farmaci, senza successo.
Nel 2013 venne approvato negli Stati Uniti il Sofosbuvir, il primo di una nuova classe di farmaci, gli antivirali ad azione diretta (DAA). I DAA hanno pochi effetti collaterali, riescono a curare quasi il 100% dei pazienti, permettono di abbreviare le cure e si possono assumere per bocca, grazie ai DAA l’epatite C è diventata la prima, e finora unica, infezione virale cronica curabile (Virus come l’HIV possiedono terapie molto efficaci per controllare la malattia, non è però possibile guarirne).
Dopo il 2013 rimase un unico ostacolo alla cura dell’epatite C, il prezzo di mercato del farmaco: il Sofosbuvir venne proposto dalla Gilead, la azienda produttrice, con un prezzo di lancio di 1000 dollari a pillola, 84.000 dollari per ciclo di trattamento, a cui aggiungere i costi della diagnosi e gestione medica del paziente.
Nonostante la elevata diffusione della malattia, il costo della terapia e le scarse risorse economiche del paese, nel 2024 in Egitto rimanevano solo 500.000 persone infette da HCV, con 3,5 mln di Egiziani trattati con successo tra il 2015 e il 2024.
Il risultato del programma Egiziano sta portando sempre più paesi a prenderlo come modello, ma come ha fatto l’Egitto a realizzare tutto questo ?
Il caso Egitto
Uno dei motivi che aiuta a spiegare i motivi dietro questo successo è stata la forte volontà politica alla base.
La campagna “100 Million Healthy Lives” (100 milioni di vite in salute, un riferimento alla popolazione totale dell’Egitto) venne lanciata nel 2015 da parte dello stesso presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sisi con pieno coinvolgimento di tutti i leader politici. L’HCV era vista come un una emergenza sanitaria e alcuni osservatori, come Shyam Bishen, hanno notato come la lotta all’HCV venne utilizzata dalla classe dirigente come strategia per aumentare la coesione del paese, dopo le rivolte del 2011-2013.
La unione d’intenti delle forze politiche ha permesso al governo egiziano di negoziare da una posizione di forza il costo per la cura dei suoi pazienti. Nel 2014 la Gilead offrì al governo egiziano il Sofosbuvir al prezzo di 900 dollari per ciclo di trattamento, cifra enormemente scontata rispetto al prezzo di vendita negli Stati Uniti ma comunque non sostenibile per le finanze del paese.
Il brevetto del Sofosbuvir venne quindi rigettato dall’ufficio brevetti egiziano, permettendo alle aziende farmaceutiche egiziane di produrre versioni locali e molto meno costose del farmaco. Già nel 2018 il costo di un ciclo di terapia con DAA in Egitto era sceso a 45 dollari rispetto agli 84.000 dollari dell’identico farmaco venduto negli Stati Uniti.
Con un trattamento curativo disponibile ad un prezzo accessibile nel 2018 il governo egiziano ha potuto proseguire il progetto di eradicazione con una massiccia campagna di screening.
L’epatite C è una malattia che per quasi tutta la durata della infezione non da segno di sé. La persona infetta vive la propria vita ignara del virus che lentamente sta causando danni cronici al fegato, fino a quando i danni sono talmente gravi da essere irreversibili. Lo screening permette di individuare le persone portatrici di HCV ma non consapevoli di esserlo; questa informazione è essenziale in una campagna di eradicazione per trattare i malati prima che la malattia causi danni irreversibili e curare le persone infette prima che possano trasmettere ad altri l’infezione.
Tra il 2018 e il 2019 l’Egitto ha intrapreso uno dei programmi di screening di massa più ambiziosi mai realizzati da una nazione: testare per l’epatite C tutti i suoi cittadini maggiorenni (62,5 milioni di persone) nel giro di poco più di un anno. Lo screening ha avuto una enorme partecipazione ed è riuscito a raggiungere l’80% delle persone a cui era diretto; quasi tutti i pazienti positivi sono stati poi curati per l’HCV. Anche in questo passaggio la disponibilità di test diagnostici a basso prezzo è stata essenziale per il completamento dello screening.
Ed è proprio sul prezzo dei trattamenti che la campagna di eradicazione dell’epatite C in Egitto può essere vista sotto un’altra luce. Se l’Egitto è riuscito a raggiungere questi risultati in poco tempo certamente l’impegno delle istituzioni è stato una forza trainante, ma senza trattamenti efficaci ed accessibili nulla di quanto visto sopra sarebbe potuto accadere.
Massimizzare i profitti ad ogni costo
Quando il prezzo di lancio di 84.000 dollari per ciclo di trattamento del Sofosbuvir (Commercializzato con il nome di Sovaldi) è stato annunciato da Gilead ha da subito scatenato forti polemiche.
In breve tempo il presidente della Commissione Finanza del Senato americano Ron Wyden e il commissario Chuck Grassley hanno iniziato un’indagine conoscitiva formale nei confronti dell’azienda chiedendo conto del prezzo eccessivamente alto del trattamento.
Nel corso dell’inchiesta durata un anno e mezzo sono stati analizzate oltre 20 mila pagine di documenti, decine di interviste con esperti sanitari e un’enorme mole di dati provenienti dal programma Medicaid. Il responso è stato impietoso, citando una parte de discorso tenuto in conferenza stampa dal senatore Wyden “Gilead ha perseguito un piano calcolato per la determinazione del prezzo e la commercializzazione del suo farmaco contro l’epatite C basato su un obiettivo primario: massimizzare i ricavi, indipendentemente dalle conseguenze umane.”
Per capire cosa significhi esattamente “massimizzare i profitti” basta leggere una inchiesta apparsa nel 2016 sul British Medical Journal.
Il Sofosbuvir non è stato sviluppato dalla Gilead ma da una piccola azienda farmaceutica, la Pharmasset che ha speso nello suo sviluppo circa 62 milioni di dollari, di cui 250.000 forniti dallo governo americano.
Appena il farmaco ha dimostrato la propria efficacia nei primi trial clinici, la Pharmasset è stata acquistata nel 2011 dalla Gilead per 11 miliardi di dollari. Dopo ulteriori 2 anni di sviluppo e 880 milioni di spese dichiarate il farmaco è arrivato infine sul mercato nel 2013 per un totale di 900 milioni di dollari spesi in ricerca e sviluppo e 11 miliardi per accaparrarsi la esclusiva sul brevetto in vista della futura commercializzazione.
Dal dicembre 2013 (entrata in commercio Sofosbuvir) all’inizio del 2016 la Gilead aveva già accumulato 35 Miliardi di utili per la sola commercializzazione di questo farmaco, quasi quaranta volte il costo totale di sviluppo e tre volte il costo dell’acquisizione della Pharmasset e da allora i ricavi sono solo aumentati: nel 2015 la Gilead ebbe un margine di profitto del 55%, contro la media del 4,34% di tutti i restanti tipi di industria.
In aggiunta a questo, la maggioranza dei ricavi ottenuti non vennero investiti in nuovi programmi di ricerca e sviluppo ma divisi come utili tra gli investitori.
La situazione italiana e il costo del profitto
Quando l’unico scopo è “massimizzare i ricavi, indipendentemente dalle conseguenze umane” le conseguenze umane di regola compaiono e in questo specifico caso, i DAA nella cura della epatite C, non dobbiamo spostarci di molto per poterle vedere.
Prendiamo il caso del nostro paese.
L’Italia è uno dei paesi Europei con il maggior numero di malati di epatite C, nel 2015 l’1,5% della popolazione italiana era portatrice di questo virus (oltre 900.000 persone) con circa 13.000 morti all’anno.
Con la disponibilità di un farmaco curativo dal 2014 sarebbe stato sufficiente trattare tutti i malati presenti nel nostro paese per debellare questo virus: nonostante questo i malati di epatite C in Italia stanno calando molto lentamente, erano ancora 500.000 nel 2024 con circa 6000 morti all’anno.
In aggiunta, per i primi 3 anni dalla commercializzazione dei DAA nel nostro paese questi farmaci sono stati unicamente disponibili per i pazienti più gravi, che avevano già danni irreversibili al fegato. Centinaia di migliaia di persone che avrebbero potuto beneficiare di un trattamento precoce, prima che il loro fegato venisse irrimediabilmente danneggiato dal virus, non hanno potuto riceverlo per anni, per il costo proibitivo del trattamento.
La scelta di Gilead di rendere inaccessibile il farmaco di sua proprietà ha quindi causato e continua a causare migliaia di morti ogni anno nel nostro paese, oltre ad aver lasciato per 3 anni i malati meno gravi privi di possibilità di cura mentre l’HCV danneggiava irrimediabilmente il loro fegato.
La domanda non è mettere in questione la validità dei brevetti, ma trovare un modo per “coniugare il diritto inviolabile alla salute con l’assegnazione di un “giusto prezzo”, in grado di premiare l’innovazione e allo stesso tempo salvaguardare l’equilibrio dei sistemi di welfare” come scritto in un’approfondimento sul sito dell’AIFA (l’agenzia italiana del farmaco) dal suo ex direttore, Luca Pani.
Di certo il meccanismo di assegnazione del “giusto prezzo” si è inceppato nel caso della commercializzazione dei DAA: Francis Collins ex direttore del NIH (la controparte americana del nostro Istituto superiore di sanità) afferma sul New York Times “Stiamo sprecando una delle innovazioni mediche più importanti del ventunesimo secolo”.
Paesi come l’Egitto hanno dimostrato chiaramente quale sia la potenzialità di questi farmaci, mentre in gran parte del mondo, compreso in Italia, la eradicazione dell’epatite C è ancora lontana dall’essere una realtà.
Mattia Venturini