La Corte d’Assise d’Appello di Palermo ha assolto al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno e il senatore Marcello Dell’Utri, accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato. In primo grado erano stati tutti condannati a pene severissime. Per Mori, Subranni e De Donno il fatto non costituisce reato, mentre per Dell’Utri il fatto non sussiste.
Nella sentenza sono inoltre state dichiarate prescritte le accuse al pentito Giovanni Brusca, mentre la pena è stata ridotta al boss Leoluca Bagarella. L’unico a cui è stata confermata la condanna è Nino Cinà, il “postino” di Cosa Nostra.

Trattativa Stato mafia, una sentenza che lascia perplessi

La sentenza, quindi, non nega che vi fu una trattativa tra lo Stato e la mafia, che aveva minacciato di continuare con gli attentati qualora non vi fosse un’attenuazione della lotta alla criminalità organizzata. Quello che dicono i giudici di Palermo è che, dalla parte dei carabinieri, la trattativa non costituisce reato.
«Potremmo dire che alla fine della trattativa Stato-mafia è rimasta una trattativa mafia-mafia», ironizza ai nostri microfoni Giuseppe Pipitone, giornalista del Fatto Quotidiano.

Il giornalista analizza gli elementi a disposizione dalla sentenza e, sulla base di assoluzioni o condanne, cerca di tracciare una logica alla base della decisione. In particolare, la sentenza deve essere divisa in due.
La prima parte è quella che riguarda i carabinieri, assolti perché il fatto non costituisce reato. I funzionari dello Stato, dunque, aprirono effettivamente un’interlocuzione con i vertici di Cosa Nostra, ma per il tribunale ciò non ha comportato di per sé minaccia a corpi dello Stato, che era il capo d’imputazione a loro carico.

La seconda parte, invece, riguarda la posizione di Marcello Dell’Utri, già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
«Evidentemente degli incontri che Dell’Utri faceva con i mafiosi non rendeva partecipe Silvio Berlusconi», osserva Pipitone, che poi cita il Decreto Biondi del luglio 1994, che conteneva alcune misure favorevoli a Cosa Nostra, decaduto quando il ministro Roberto Maroni si accorse delle norme su segnalazione sul Procuratore Capo di Palermo, Giancarlo Caselli.
Insomma, occorrerà attendere le motivazioni della sentenza per comprendere come i giudici giustificheranno l’assoluzione di Dell’Utri.

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