Almeno 18 persone sono rimaste uccise nella repressione delle manifestazioni in Myanmar, l’ex Birmania, nella giornata più sanguinosa dall’inizio delle proteste contro il golpe del primo febbraio.
Intanto Aung San Suu Kyi, la leader della Lega Nazionale per la Democrazia, deposta dal colpo di Stato dei militari, è comparsa in collegamento video davanti al giudice che dovrà processarla per “importazione illegale di walkie-talkie” e “per aver organizzato una protesta durante la pandemia”.
San Suu Kyi non appariva in pubblico dal giorno del golpe e «Sta bene», ha precisato il suo avvocato.
Ex Birmania, un movimento civile mette in crisi l’esercito
Dal giorno del golpe, però, la giunta militare ha dovuto fronteggiare il “Movimento di Disobbedienza Civile” che ha risposto all’appello della stessa San Suu Kyi e non ha mancato di protestare nelle piazze e organizzare scioperi generali.
A ricostruire la sua genesi, basata su storiche contrapposizioni e vecchi attriti nel Paese, è il giornalista Emanuele Giordana, che in un’analisi per Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), sottolinea come un forte impulso arrivi dai medici, élite progressista della società birmana, già manifestatosi «nel 2015 quando iniziò un vero e proprio movimento di protesta contro la “militarizzazione” del sistema sanitario», scrive Giordana.
In particolare, la rete che fa capo ai medici, si è riavviata subito dopo il colpo di Stato e ha formato l’avanguardia del movimento, cui si sono aggiunti anche gli ingegneri e gli aviatori.
In un mese, racconta il giornalista, diversi settori della società birmana iniziano a farsi sentire, come quello bancario, che chiude i battenti per mancanza di difficoltà e rende difficile alla giunta militare battere moneta, ma si fermano anche l’anagrafe, il settore forestale, il settore energetico e quello ferroviario.
«La giunta, in evidente difficoltà, sembra non aver messo in conto una protesta diffusa, che resiste da settimane – sottolinea Giordana – Per una volta, il Covid dà una mano: il governo di Suu Kyi aveva infatti consentito a molti dipendenti pubblici di ottenere due mesi di stipendio anticipato e montano dunque riserve al colpo di Stato».
Il giornalista sottolinea che c’è anche una componente giovanile, che si riconosce nella Generazione Z, che non ha una leadership chiara, ma mobilita diversi gruppi in differenti contesti. E al contempo, anche il lavoro svolto dalle ong occidentali negli ultimi anni: «Un lavoro di training, di dare la possibilità anche alle persone di andare all’Università, alle scuole, di avere un lavoro retribuito. Per una volta l’occidente non ha avuto solo un ruolo negativo, facendo affari con chiunque, ma c’è stata anche una spinta dal basso che sostiene il movimento e ne fa eco in Europa».
Le proteste contro i militari birmani, però, vanno inserite in un quadro più generale che vede altrettante proteste che infiammare tutto il Sud-est asiatico: da Bangkok a Manila fino a Giacarta. Da quei Paesi arriva l’appoggio alla protesta birmana e la pressione nei confronti dell’Asean (Association of South-East Asian Nations) affinché non riconosca le azioni della giunta militare in Myanmar.
Un ruolo lo gioca anche la globalizzazione. «Nell’epoca dei social media, per la prima volta, la protesta democratica birmana ha un palcoscenico – scrive Giordana – Serve a poco bloccare Internet per otto ore al giorno: immagini, video e slogan sono ormai virali su Twitter, Facebook e Instagram. Viaggiano attraverso Signal, un’applicazione di messaggistica simile a WhatsApp».
ASCOLTA L’INTERVISTA AD EMANUELE GIORDANA: