Esiste un razzismo medico? E’ reale il pericolo che da esso derivino risposte sanitarie tardive o, peggio, sbagliate?

Da qualche tempo “prima gli italiani” non lo si sente solo nelle piazze leghiste, ma visto il dilagare di un clima sociale e politico sfavorevole, per non dire ostile, verso la popolazione straniera, anche in tanti, troppi, ambienti deputati alla cura delle persone.

La sofferenza, anche quella psichica, dei migranti genera spesso bisogni di difficile lettura per il nostro personale sanitario, bisogni che dunque è più semplice ignorare. L’accessibilità ai servizi il più delle volte a queste persone è negata, o resa impraticabile, non solo dalle ovvie barriere linguistiche, ma anche dalla nostra incapacità  di tradurre esperienze che usano altri parametri e quindi di darne risposte adeguate. Non è esagerato dunque sostenere che, non di rado, la violenza razziale è in continuità con quella istituzionale. L’ambito della salute, della scienza medica, mai come oggi, è un campo di battaglia politico.

Quali risposte allora ai bisogni di salute degli stranieri? Come riumanizzare i territori della cura? Nel recente seminario organizzato da Coalizione Civica per Bologna, “Il territorio e la cura – un nuovo modello di presa in carico: la salute mentale”, l’intervento del professor Roberto Beneduce, antropologo ed etnopsichiatra, fondatore del Centro Frantz Fanon di Torino, ha provato a rispondere a questa e ad altre domande. La nostra trasmissione l’ha riproposto integralmente.