Interessante botta e risposta (a distanza) tra Francesco Guccini e Jovanotti riguardo un parallelo che Jovanotti ha fatto tra “La locomotiva” dello stesso Guccini e “Gloria” di Umberto Tozzi. In pratica, il Jova – intervistato da Aldo Cazzullo – ha detto che Gloria non ha nulla da invidiare alla Locomotiva. Come per dire “basta” all’eterna distinzione un po’ spocchiosa tra cultura alta e cultura bassa, tra canzoni di serie A e canzoni di serie B, quella distinzione che mette la cosiddetta “canzone d’autore” su un piedistallo rispetto alle canzoni di consumo.
Interpellato in proposito, Guccini ha ribattuto di non essere d’accordo, in quanto dietro canzoni come la citata Locomotiva (emblematica di tante altre) c’è un lavoro preesistente di letture, riflessioni, ricerche…insomma un lavoro “culturale” che dietro una canzone come “Gloria” non c’è. Guccini definisce Gloria come una canzone simpatica, gradevole, ma che non ha – appunto – un background culturale.
Il parere di Guccini ha riscosso parecchio seguito, come a riaffrancare la nobiltà dell’impegno contro gli stilemi dei prodotti industriali. Tra i giornalisti, proprio Aldo Cazzullo ha invece spezzato una lancia in favore di Tozzi, innanzitutto contestualizzando le canzoni, e mostrando come entrambe siano state conseguenze dell’atmosfera in cui sono nate: la Locomotiva è nata dalle lotte degli anni ’70, e Gloria dall’edonismo pop di inizio anni Ottanta. Fra l’altro, lo stesso Tozzi, all’uscita di Gloria, confessò che tutto era partito dalla visione de “Il terzo uomo” con Orson Welles. Quindi – puntualizza Cazzullo – volendo fare i libreschi o i nerd, una matrice culturale la si può attribuire anche a Gloria.
Le lotte proletarie de “La locomotiva” e l’edonismo reaganiano di “Gloria”
Questa piccola disputa natalizia tra i due modi di fare canzone mi fa rispolverare un pensiero che ho percorso più volte. E cioè che quando i cantautori “rinomati” tendono a guardare dall’alto in basso le canzonette o presunte tali, lo fanno come se esistessero soltanto i testi. E’ abbastanza ovvio che un testo di Guccini o De André o De Gregori abbia un retroterra che Tozzi o i Ricchi e Poveri o Annalisa non hanno. Ma la canzone non è solo testo, è anche musica; anzi, di base è l’intreccio delle due cose insieme. Alcuni versi passati alla storia, ad esempio “mi ritorni in mente bella come sei” o “un angelo caduto in volo” sono banalità evidenti, ma l’intreccio con le note musicali li rende meravigliosi e molto più potenti di quanto risultino da soli. E poi la canzone è anche il timbro vocale dell’artista, è il sound degli arrangiamenti, è tante cose. E Umberto Tozzi per registrare Gloria è andato a Los Angeles, preoccupandosi di componenti prettamente sonore che in Italia non avrebbe trovato. E’ cultura anche questa.
Certo, se separiamo artificiosamente i testi da tutto il resto, nella Locomotiva troviamo la storia romanzata di un anarchico furioso che si impossessa di un treno da Modena a Bologna (fatto storico reale che diventa simbolo della lotta operaia), mentre in Gloria troviamo immagini leggere di una donna dai cui fianchi la mattina nasce il sole. Come dicevo, la Locomotiva è stata inno delle rivolte proletarie, Gloria è stata manifesto dell’edonismo da riflusso. Ma non tutto è “messaggio”, la musica è anche la bellezza senza motivo di qualcosa che funziona e si fa canticchiare da subito.
La presunzione salottiera del cantautorato
Affondando il colpo, si potrebbe sostenere a ragione che Gloria possiede un linguaggio universale che prescinde dalla lingua originale, mentre la Locomotiva farebbe ben poca strada al di fuori degli ambiti della canzone d’autore italiana, quegli ambiti infarciti di intellettualoidi dall’atteggiamento vagamente auto-referenziale e salottiero.
Guccini ha ragione nel parlare di retroterra culturale, ma si tratta di un retroterra storico-concettuale, che è solo uno dei possibili tanti fattori che costituiscono la forza di una canzone. Guccini in effetti non si è mai lasciato andare a piacevolezze di orecchiabilità, le sue canzoni sono quasi sempre ballate tendenti al noioso (o segui il testo o perdi tutto), mentre altri padri nobili della canzone d’autore hanno ad esempio usato maggiormente i ritornelli. Penso a Vecchioni, che fra l’altro ha scritto “Donna felicità” e altre facezie degli anni ‘70, o alla stessa Donna cannone, il cui successo si posa sulla bellezza e leggerezza sublime del ritornello.
Ognuno continuerà a tifare nella direzione che ama o in cui si sente schierato. Ritengo che Jovanotti non abbia detto una sciocchezza, e che Cazzullo abbia fatto bene a sancire una sostanziale parità tra due mondi lontanissimi fin dalle intenzioni.