Nel pomeriggio di domenica 26 ottobre in via Don Minzoni 12 c’era un vociare festoso. Per tutto il giorno lo stabile riaperto e occupato da Plat venerdì scorso per dare un tetto ai tanti alle prese con il problema della casa a Bologna è stato brulicante, un via vai di persone che lavoravano, pulivano, cucinavano, si organizzavano per quello che è l’autorecupero di uno stabile pubblico, di proprietà di Asp, da anni in stato di abbandono e recentemente concesso a un privato, la società belga Life NV (Living in Funky Environments NV), per farci l’ennesimo studentato a prezzi di mercato.
Don Minzoni 12, l’autorecupero di una comunità di senza casa
Per ripristinare lo spazio, in preda all’incuria, i nuovi inquilini si sono divisi in gruppi. C’è chi si premura di cucinare per tutti, chi di pulire, chi di fare lavori più impegnativi e di fatica.
Alle 16.00, invece, tutti radunati nel cortile interno per la seconda assemblea dall’inizio dell’occupazione.
«Le persone che sono qui non chiedono di rimanerci per sempre – spiega Isa di Plat ai nostri microfoni – ma quello che chiedono è di andarsene con una soluzione abitativa dignitosa».
Sono 142 le persone, di cui 72 minori, in emergenza abitativa che hanno trovato un tetto in via Minzoni 12. A salutarle, ieri pomeriggio, sono arrivati anche gli occupanti di Carracci Casa Comune, realtà regolarizzata dall’Amministrazione comunale grazie a una lotta sempre patrocinata da Plat. Quell’esperienza ha dimostrato che è possibile trovare soluzioni se c’è la volontà politica.
Per via Don Minzoni 12, in particolare, Plat chiede un tavolo con la Prefettura, il Comune e gli altri soggetti istituzionali.
La proprietà di Asp, però, ha già denunciato e in Procura è già stato aperto un fascicolo. Il nuovo decreto Sicurezza ha introdotto un nuovo reato per chi occupa un immobile, punito fino a 7 anni di carcere. Ma la parola che in via Don Minzoni 12 circola di più è “coraggio”, anche quello di battersi contro una legge ingiusta.
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Le storie di umanità e comunità di chi è in occupazione per necessità
I due sfratti eseguiti con violenza giovedì scorso in via Michelino hanno sollevato grande indignazione, a cui però si è opposto anche uno shitstorm di persone che sui social rivendicavano il diritto dei proprietari immobiliari a fare ciò che credono con i loro beni. Talvolta le famiglie sfrattate sono state definite come parassite, nonostante pagassero gli affitti e rispettassero i contratti.
Raccogliendo alcune delle storie dei nuovi inquilini di via Don Minzoni 12, però, si scopre una narrazione molto differente e una condotta dei proprietari di immobili bolognesi, spesso intermediata da agenzie, che risulta lucrosamente cinica.
Una delle storie che abbiamo raccolto è quella di Marco, originario dell’Ecuador ma in Italia dal 2002. Nel nostro Paese ha frequentato le scuole medie, si è perfettamente integrato, ha un lieve accento bolognese e, crescendo, ha trovato un lavoro come artigiano e messo su famiglia.
Il suo problema con la casa è cominciato quando, dopo aver sottoscritto un contratto di affitto della durata di un anno ma rinnovabile in via Barbieri, in Bolognina, appena cinque mesi dopo ha ricevuto una telefonata dall’agenzia che gestiva l’immobile per conto della proprietà, che gli ha comunicato che doveva liberare l’alloggio perché il proprietario voleva vendere.
«Mia moglie era appena andata in maternità, perché era nata la nostra terza figlia», racconta ai nostri microfoni, ricostruendo anche la preoccupazione vissuta, soprattutto per i figli, uno dei quali ha dei problemi linguistici e frequenta specialisti di logopedia.
La famiglia ha cercato da subito una nuova casa, ma l’impresa si è rivelata impossibile. Oltre ai prezzi che erano già schizzati in alto, Marco ha incontrato il pregiudizio razzista. L’essere di origine straniera, nonostante la sua permanenza in Italia da 23 anni e il suo corretto italiano, lo ha costretto a scontrarsi con i luoghi comuni dei proprietari bolognesi e con le richieste di garanzie esagerate che vive oggi chiunque cerchi una casa in affitto.
È stato casualmente che Marco ha conosciuto Plat e il suo sportello abitativo. Da quel momento ha partecipato ai picchetti anti-sfratto e da agosto ha visto il crescendo di violenza delle forze dell’ordine nell’esecuzione degli sfratti. «Ho pensato: e se quello dovesse succedere anche alla mia famiglia? Se dovesse accadere anche ai miei figli?». Da qui è maturata, insieme alla moglie, la scelta di lasciare la casa e di trasferirsi nell’occupazione di Don Minzoni 12.
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Quando si parla di emergenza abitativa la posizione forse più complessa è quella delle famiglie monogenitoriali. Spesso si tratta di storie di donne sole con figli a carico, talvolta uscite da situazioni di violenza domestica o comunque a cui l’ex compagno non corrisponde nulla per il mantenimento dei figli.
All’interno di via Don Minzoni 12 abbiamo conosciuto Giusy, 33 anni, madre single di due bambini, di cui uno con bisogni speciali. A maggio scorso ha ricevuto una lettera dell’agenzia che le comunicava che, dai 550 euro al mese di affitto che pagava da otto anni, a fine contratto il canone sarebbe salito a 1200 euro, una quota superiore al suo stipendio.
La donna ha scritto al sindaco Matteo Lepore chiedendo un incontro. In prima battuta ha ricevuto una risposta in cui si chiedeva di esplicitare meglio il problema. Quando ha raccontato il suo problema abitativo, il primo cittadino non le ha più risposto.
Giusy si è rivolta ai servizi sociali per trovare una soluzione. L’unica che le è stata proposta era una comunità a 80 km da Bologna. «Io sono a piedi, il bambino nella sua scuola ha il sostegno. Sarebbe stato troppo difficile per me», osserva la donna.
Giusy è stata indirizzata a Plat dall’allenatrice della squadra di calcio degli Hic Sunt Leones, frequentata dai figli. Nella nuova occupazione di Don Minzoni 12 dice di stare bene, tranquilla e serena e di avere trovato una comunità solidale che la sostiene e la fa sentire meno sola.
«Siamo consapevoli che un’occupazione non è una cosa legale – conclude – ma non è legale nemmeno stare per strada con dei bambini ed essere abbandonati da chi ti dovrebbe tutelare».
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