Dopo la decisione di uscire dal Patto per il Lavoro e per il Clima, Legambiente torna a farsi sentire. È stato presentato oggi il dossier sullo stato del consumo del suolo in Emilia Romagna per cercare di fare il punto a cinque anni dall’approvazione della legge urbanistica regionale 24 del 2017. Dal dossier emerge che appena il 4% dei Comuni in regione ha adottato il Piano Urbanistico Generale (Pug), strumento che fermerebbe nuovi insediamenti.

Legambiente boccia la legge urbanistica regionale contro il consumo di suolo

Gli obiettivi della legge, molto ambiziosi, puntavano ad abbattere del 60% le previsioni di crescita del suolo urbanizzato rispetto alla tendenza calcolata al 2017. Eppure «in una prima fase la legge prevedeva la possibilità per i Comuni di attuare tutti i progetti che prevedevano consumo di suolo presenti nei piani approvati prima del 2018» ci ha spiegato Daniele Ferraresi, Presidente di Legambiente. Sono state approvate, dunque, una serie di delibere, le cosiddette “delibere di indirizzo”, grazie a cui i Comuni hanno potuto attuare tutti i progetti precedenti alla legge. E’ inoltre da sottolineare che «i quantitativi di suolo collegati a questi progetti non sono stati computati all’interno del limite individuato dalla legge per ridurre il consumo di suolo: limite al 3% rispetto al suolo effettivamente urbanizzato al 2018».

A seguito della prima fase la legge ha previsto l’entrata in vigore dei Piani Urbanistici Generali (Pug), che non sono stati ancora approvati se non in una minima parte. Infatti, la legge prevederebbe 4 fasi e nello specifico tutti i Comuni dovrebbero attuare i PUG entro il 2024 – data tra l’altro prorogata durante il periodo pandemico. Eppure ad oggi, dunque a soli 6 mesi dalla scadenza per l’attuazione dei Piani, 177 Comuni su 330 Comuni si trovano ancora nella prima fase, quella dello studio preliminare, mentre solo 13 Comuni (pari al 4%) lo hanno già approvato. «Il processo di adeguamento previsto dalla legge urbanistica sta procendeno ancora molto a rilento probabilemnte a causa del fatto che i Comuni hanno concentrato le loro forze nel far approvare i progetti previsti nei piani vigenti prima dell’approvazione della legge nel 2017».

«Sia i dati che l’attività di Legambiente in questi anni hanno testimoniato il fatto che non si sia giunti agli obiettivi che prevedevano un’effettiva riduzione del consumo di suolo. Continuano infatti a verificarsi episodi e progetti di nuova urbanizzazione che la legge del 2017 non è riuscita a contenere» ha aggiunto Ferraresi.

Giusto per fare qualche esempio è emblematico, per quanto riguarda la provincia bolognese, il progetto di un nuovo ipermercato a Lavinio di Mezzo che prevede la realizzazione di una nuova struttura commerciale di circa 10.000 m2 su un terreno attualmente vergine. E ancora, nel territorio di Comacchio, è stato approvato il maxi progetto “Umpa” all’interno del quale sono racchiusi diversi progetti di rigenerazione turisticia nella zona costiera, attraverso una partnership pubblico-privata. Anche in questo caso non è stata presa in considerazione l’ipotesi di riqualificare aree gia urbanizzate e tra i prgetti ce ne sono due che saltano all’occhio: “Agricola Collinari” per il quale saranno investiti 46 milioni di euro per la costruzione di attività turistico-ricettive e residenziali su una superficie di 31.000 m2; mentre il secondo riguarda la costruzione di un “Camping Village” con un valore dell’investimento che supera i 50 milioni di euro per un cantiere che duereà 8 anni.

Si tratta di critiche, quelle mosse da Legambiente, «che avevamo inserito già nell’Osservatorio in fase di stesura della legge – ha detto Luca Girotti di Legambiente – Già da allora avevamo evidenziato che si trattava di una legge inadeguata e a distanza di alcuni anni dobbiamo purtroppo registrare che non ci eravamo sbagliati». Intanto Legambiente è stata promotrice di una legge di inziativa popolare che ha raccolto 7 mila firme e che è stata già depositata in Regione. «Noi ci auguriamo al più presto che divenga oggetto di assemblea comunale» ha continuato Ferraresi.

Un altro punto essenziale riguarda il concetto di suolo che ancora fatica ad essere compreso. «Il suolo è una risorsa non solo dal punto di vista spaziale, ma costituisce una risorsa naturale non rinnovabile e questo è un aspetto che dal nostro punto di vista dovrebbe essere tenuto a mente in fase di progettazione» ha aggiunto Ferraresi. Infatti, dati i tempi estremamenti lunghi necessari alla sua formazione, si può affermare che il suolo sia una risorsa non rinnovabile; questo signfiica che ogni centimentro di suolo cementificato è di fatto perso.

Il suolo però è una risorsa fondamentale sotto tantissimi punti di vista. «è il luogo in cui una serie di organismi viventi e componenti degli ecosistemi svolgono la loro vita e le loro funzioni biologiche. Questo permette al suolo di compiere i cosiddetti servizi ecosistemici, ovvero funzioni che vanno a beneficio delle persone e della vita della comunità». Una funzione essenziale è quella di trattenere l’acqua piovana per esempio, e proprio in Emilia-Romagna gran parte della cittadinanza ha sperimentato sulla propria pelle gli effetti devastanti che la mancanza di questa funzione può comportare.

Ma il suolo è anche il luogo in cui si poggiano le culture agricole e, considerando che in Italia, l’unica zona prevalentemente pianeggiante e fertile che favorisce l’agricoltura è l’Emilia-Romagna, continuare a cementificare questa zona non va solo contro gli interessi di ambientalisti e ambientaliste ma anche di quelli economici.

ASCOLTA L’INTERVISTA A DAVIDE FERRARESI:

Sofia Centioni