La Global Sumud Flotilla ha completato il suo corso, ma adesso le voci degli attivisti ritornati nei loro paesi stanno mantenendo in alto i valori che la missione ha rappresentato. Tra gli attivisti italiani salpati verso le coste di Gaza c’era Barbara Schiavulli, giornalista e corrispondente di guerra in Medio Oriente, anima di Radio Bullets, che ha raccontato la sua partecipazione alla traversata: dal momento della salpata, agli attacchi dei droni, fino alla cattura in acque internazionali e la detenzione in Israele.

«Sono salpata da Augusta, vicino Siracusa, con la barca Morgana. Questa era la trentasettesima missione della Flotilla, partite dal 2006 con l’obiettivo di rompere l’assedio marittimo, portare aiuti e tenere accesi i riflettori su quello che stava accadendo a Gaza. Non è stato facile, visto che eravamo in delle barche a vela affollate, tra le 8 e le 12 persone per imbarcazione, senza contare tutte le provviste: dopo diversi ritardi nella partenza, ci siamo fermati a Portopalo, nel sud della Sicilia, per aspettare il resto delle imbarcazioni e poi andare verso la Grecia, dove ci aspettavano altre sei barche».

Il racconto di Barbara Schiavulli: la paura degli attacchi alla Flotilla a largo della Grecia

Il viaggio verso la Grecia, però, sarebbe stato vittima di un altro attacco di droni, che Schiavulli ha vissuto in prima persona: «La mia barca è stata colpita ben tre volte e la vela principale danneggiata a tal punto che siamo stati costretti ad allungare il viaggio, dai 10 giorni previsti ce ne abbiamo messi 18. In più, avvistavamo droni quasi ogni notte, quindi la paura di altri attacchi era costante, perché Israele aveva dimostrato che potevano colpire ovunque e in qualunque momento. Per questo alcune persone hanno preferito tornare, nonostante sarebbero arrivate tre navi militari a supporto, una spagnola, una italiana e una turca».

Tuttavia, gli attacchi a largo della Grecia erano solo il presagio di un sabotaggio che di lì a poco sarebbe solo peggiorato. Dopo il ritiro delle navi militari, avvenuto «a 150 miglia da Gaza e nel momento più rischioso, ovvero dove erano state prese le flottiglie precedenti», afferma la giornalista, la Flotilla «ha proseguito da sola, finché i primi vascelli militari israeliani ci hanno raggiunto. Nella notte, ci hanno accerchiato, accecato con le luci e usato dei cannoni ad acqua per farci desistere, per farci tornare indietro. La notte successiva, invece, ci hanno proprio abbordato divisi in blocchi per prendere tutte le navi, impiegandoci fino all’alba per rapirci tutti e portarci al porto di Ashbod».

Il rapimento dalla Flotilla e la detenzione in Israele

Di rapimento si tratta, infatti, perché il blocco della Flotilla, avvenuto in acque internazionali, era il primo passo verso la detenzione che di umano ha ben poco, come conferma Schiavulli. «È venuto a vederci il ministro della sicurezza Ben-Gvir, chiamandoci terroristi. Anzitutto ci hanno confiscato i cellulari e i medicinali salvavita come la cardiospirina o i nebulizzatori per l’asma, mettendo in serio pericolo l’incolumità di certe persone e ci costringevano a mangiare per terra. Per le donne, poi, c’è stato anche un gradino in più di umiliazione: ci hanno fatto togliere il reggiseno, chiamate puttane e hanno negato l’accesso agli assorbenti a coloro che avevano il ciclo».

Oltre i danni fisici e gli insulti, altri dettagli visti da Schiavulli raccontano la volontà da parte dei militari di abbattere l’animo degli attivisti della Flotilla: «Ho visto questa immagine gigantesca che vedevamo da tutte le porte delle celle di Gaza distrutta con scritto “la nuova Gaza”. Ho visto anche Greta Thunberg, con due poliziotti che le hanno infilato sotto braccio la bandiera israeliana. Hanno fatto di tutto per umiliarci, ma in realtà era difficile spezzare delle persone coese con un obiettivo comune, cioè mostrare come queste persone si comportano, perché sapevamo che nei nostri paesi la gente per strada ci avrebbe in qualche modo protetto».

Così è stato: le proteste in Italia nel fine settimana scorso hanno amplificato la voce dell’intera società civile contro il genocidio a Gaza, raggiungendo traguardi come le 150.000 persone a Bologna di venerdì 3 e il milione di manifestanti raccolti dalle piazze di Roma sabato 4 ottobre. Un entusiasmo ripreso anche dalla stessa Schiavulli: «La scorta mediatica e popolare è stata fantastica, sapevamo che sarebbe successo il finimondo se ci fosse successo qualcosa, questo lo dobbiamo ai cittadini e di certo non al governo».

L’impatto della Flotilla, dunque, è stato innegabile, e saranno le prossime spedizioni a portare avanti la missione che Schiavulli e le altre centinaia di attivisti hanno portato avanti: «Il futuro è già presente, perché ci sono altre persone che stanno navigando verso Gaza e credo continuerà finché questa storia finirà, finché i palestinesi non avranno un momento di tregua, cioè con la fine dell’occupazione. Io sono onorata di essere stata parte di quell’innesco che ha fatto ritrovare a molta gente la voglia di sentire, di scendere in piazza e di far vedere che i governi dovrebbero essere dalla parte dei popoli e non degli interessi di altri».

La giornalista conclude il suo racconto lanciando un monito al popolo italiano ed europeo, perché è del loro aiuto che missioni come questa hanno bisogno di più: «Tutto questo dovrebbe essere tradotto in qualcosa di poi concreto e duraturo: spero che quando la gente andrà a votare saprà oggi cosa votare, saprà chi sono quelli che stanno dalla parte loro e chi invece no. Mi sono sentita tradita e lo dico da giornalista, io non sono una vera attivista, ma una persona che sta dalla parte dei vulnerabili, salita su quelle barche per raccontare la loro storia. Vorrei che la gente capisse che la guerra non può essere la soluzione e che armarsi non è la soluzione per questo mondo».

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