Anche Sofia Gubaidulina, nata nel 1931 a Cistopol nell’attuale Repubblica del Tatarstan, si è voluta misurare sull’ambizioso tema delle “7 ultime parole” (anche se sarebbe più appropriato definirle “frasi”) di Gesù Cristo sulla Croce, tema che percorre la storia della musica dal 16° secolo d’Orlando di Lasso, fino al 2013 che comprende un paio di lavori ad opera di compositori onestamente a me del tutto ignoti, come Fabrizio Bastianini e Bernard Salles (salvo ulteriori aggiunte), passando per Schuetz, Haydn, Mercadante, Gounod, Franck (a questo proposito mi sovviene il ricordo personale di quando berciavo come basso profondo, più sfondato d’un buco nero, nella Corale di Sant’Egidio qui a Bologna, per cui mi capitò pure di partecipare ad un’esecuzione pubblica del lavoro franckiano e per fortuna non s’accorsero troppo degli sfracelli vocali che commisi in quell’occasione), Dubois, Perosi, Tournemire, Liviabella, Murail, MacMillan (solo per citarne una parte), utilizzando nel corso delle varie epoche,  organici i più diversificati che si possano mai immaginare!

“Sieben Worte” (7 parole), per violoncello, bayan (praticamente una fisarmonica) ed archi, con le 7 sezioni del lavoro riportanti le celeberrime frasi in tedesco, fu creato dalla Gubaidulina nell’82 ed eseguito in prima assoluta a Mosca nel medesimo anno, col violoncellista Vladimir Toncha ed il fisarmonicista Friedrich Lips, al quale è dedicato il lavoro. La compositrice riconobbe il suo debito nei confronti di questa secolare tradizione, con particolare riferimento ad Heinrich Schuetz che contribuì nel 1645 col suo “Die sieben worte unseres lieben Erloesers und Seeligmachers Jesu Christi so er am Stamm des heiligen Creutzes gesprochen ” (Le 7 ultime parole del Nostro Redentore e Salvatore Gesù Cristo pronunciate sulla Santa Croce), al quale pure Haydn attinse nel 1787. La fonte cristiana della composizione fu prudentemente celata alla prima moscovita, ma successivamente la compositrice spiegò che, non essendo secondo lei possibile di rendere adeguatamente il testo biblico in un lavoro puramente strumentale, dal punto di vista sonoro vi sono dei gesti per così dire metaforici, evocativi ed in questo contesto i 2 strumenti solisti e l’orchestra d’archi, si rivelarono forieri di parecchio materiale. Nella quinta sezione, “Mich duerstet” (Ho sete), vi è una triplice citazione di 5 battute del lavoro di Schuetz, elemento che assume un’importante funzione strutturale, sempre secondo l’autrice.

Comunque sia, violoncello, bayan ed archi finiscono per rappresentare la Sacra Trinità, nei ruoli rispettivamente del Cristo, del Padre e dello Spirito Santo. Nella quarta sezione, “Mein Gott, mein Gott, warum hast Du mich verlassen?” (Mio Dio, mio Dio, perchè m’hai abbandonato?), la più estesa ed articolata, culmine espressivo della suggestiva composizione, solisti ed archi intessono un fitto dialogo, particolarmente intenso e drammatico. L’autrice traduce la “diversa uguaglianza” delle voci, indagando a fondo, in tutto il lavoro, le possibilità timbriche degli strumenti con esiti straordinari e con una simbiosi tra i 2 solisti che costituisce un mirabile esempio di questa ricerca, coinvolgendo suggestivamente l’ascoltatore.

Questa musica certamente non facile, capolavoro assoluto di profonda espressività, viene proposta nella puntata di giovedì 24 marzo, nell’incisione effettuata al Castello Festetich di Budapest, il 21 e 22 agosto ’95, dalla violoncellista Maria Kliegel e dalla fisarmonicista Elsbeth Moser, accompagnate dalla Camerata Transsylvanica diretta da Gyoergy Selmeczi, uscita in disco per la Naxos Records.

“Un tocco di classico” va in onda ogni giovedì alle ore 24, su Radio Città Fujiko, in streaming ed in fm 103.1 mhz.

—- Gabriele Evangelista —-