Da Baudo che chiede alla drag queen Rupaul se fosse un giocatore di basket, a Fiorello che deride la fluidità di genere e l’autodeterminazione sessuale, il Festival più famoso d’Italia non si è mai fatto sfuggire l’occasione di colpire il bersaglio con la propria grettezza retrograda. Eppure ormai è una frase di rito: “Sanremo è lo specchio dell’Italia” e allora… cosa ci si aspettava da un Paese che ha affossato la legge contro l’omolesbobitransfobia neanche qualche mese fa? Un Paese che si è sentito imbavagliato nella propria libertà di esprimersi da una proposta di legge che avrebbe semplicemente tentato di tutelare delle categorie discriminate?

Il ritratto della transfobia in Italia sul palco di Sanremo

Eppure quando quest’anno Amadeus ha annunciato partecipanti e ospiti al Festival di Sanremo, con figure come Rettore, LRDL, Emma e la maestra Michielin, Michele Bravi, Drusilla Foer e Lorena Cesarini, si è pensato che forse per una volta il palco sarebbe stato talmente pieno di persone effettivamente diverse e abbastanza rappresentative, da proteggere la comunità LGBTQ+ dal ludibrio ormai costante che deve subire ogni volta che un comico (e qui usiamo il maschile universale non a caso) apre bocca.

Ci si è illusз che i fiori li avrebbero dati anche agli uomini, che Lorena Cesarini fosse stata chiamata per qualcosa di più del suo colore della pelle, che Zalone “almeno non è Pio e Amedeo”. Ma alla fine niente è cambiato. I fiori solo alle donne, Cesarini relegata al monologo antirazzista che finisce per essere una dimostrazione di come fosse lì solo per far quello e non per essere presentata nella sua dignità di attrice. E infine, dimostrazione che più in basso si può sempre arrivare, Zalone lascia tutti senza parole.

È vero Zalone non è Pio e Amedeo, non è una macchietta ignorante e gretta che sfrutta la pancia delle persone per fare umorismo facile e denigratorio. Luca Medici non è questo, ma il suo personaggio sì. E rifiutarsi di rendersene conto è un problema. Anzi si vuole usare questa divisione tra l’intelligenza del comico e l’idiozia del suo personaggio come giustificazione, ma è una scusa che non regge più.

La performance “comica” di Zalone si posiziona in maniera talmente perfetta da non poter non essere letta come calcolata, dopo il monologo di Cesarini e prima della giornata presentata da Drusilla Foer. E sebbene di argomenti da trattare ce ne siano a bizzeffe, pare che l’argomento dovesse necessariamente ricadere sulle minoranze. Partendo con battute sul filo del rasoio indirizzate al sessismo di Amadeus già sale la tensione in attesa di uno scivolone, che non tarda ad arrivare. Ma questo non è uno scivolone, ma un tuffo carpiato in un mare di merda, con tutte le scarpe.

Una favola sulla falsa riga di Cenerentola, ma al posto della giovane bionda cisgender, come protagonista una donna trans, brasiliana e sex worker. E giù a ridere in una serie di stereotipi aberranti che andrebbero smontati ad uno ad uno: i peli, il pomo d’adamo, il 48 di piede… la rima con “azzo” e il lavoro sessuale. Per Zalone, per l’italiano medio, è questo che è una persona trans. «Una cosa metà e metà», un’identità che non va oltre il corpo e l’utilizzo che se ne fa di questo. Questo racconta Zalone del suo popolino, che continua a vedere la comunità LGBTQ+ come anomalia, che continua a discriminare il lavoro sessuale, che è ossessionato da cosa c’è tra le gambe delle persone.

Alla fine, sulle note di “Almeno tu nell’universo” di Mia Martini (come se di offese all’udito del pubblico non se ne fossero già fatte abbastanza), la protagonista della favola addita l’ipocrisia di chi la denigra «che poi sono i suoi primi clienti». Ma anche qui… chi doveva essere criticato non è più neanche il centro della battuta: è l’esperienza sessuale con una donna trans ad essere messa in ridicolo, è il sex work, è l’atto omosessuale (che poi omosessuale non è, dato che una donna trans è una donna). Si vuole deridere la transfobia essendo transfobici. Si vuole deridere il “popolino”, i razzisti, gli omofobi, ma a ridere sono Salvini e Adinolfi e a riecheggiare nelle nostre menti sono gli applausi del Senato.

Non possiamo dire che sia odio nelle parole di Zalone, ma sicuramente tanta ignoranza e incapacità nell’aver saputo fare il proprio mestiere. Non è stata satira né parodia se ad essere attaccate sono le categorie oppresse, si tratta di essere il giullare di fascisti e omofobi per far digerire al “popolino” il punto di vista degli oppressori.

Ma nel Paese reale, che non è quello paillettato di Sanremo, nessuno può digerire la violenza di stereotipi del genere. Sicuramente non chi per questi stereotipi ci muore ogni giorno.

Max Americo Lippolis