Si chiude alla grande l’appuntamento del Festival Jazz Tirolese. A seguire il report, mentre sabato dalle ore 10.30 su Radio Citta’Fujiko 103.100 Speciale Salt Peanuts Festival Jazz di Saalfelden: commenti e registrazioni!

Giornata di chiusura al Festival Jazz di Saalfelden. Tacciono già gli Short Cuts e i City Concerts, rimane il Main Stage del grande teatro a celebrare l’ultima serie di proposte musicali.

Si comincia con il trio di Jim Black, dove al batterista americano si affiancano Thomas Morgan al basso ed Elias Stemedeser al pianoforte. Un Black che non ti aspetti, meno irruento e più controllato, dedito ad una musica da “camera” tutta funzionale al tenue lirismo della tastiera di Stemedeser, un giovane pianista forse ancora non all’apice della maturità interpretativa, ma che già presenta ottime qualità d’ispirazione interpretativa. Un trio che apre sotto i migliori auspici il pomeriggio del festival.

Il tempo di riorganizzare il palco e arriva “Army of Strangers”, progetto della violinista Jessica Pavone accompagnata da Pete Fitzpatrick alla chitarra, Jonti Siman al basso elettrico e Harris Eisenstadt alle percussioni.

L’impasto sembra rivivere i fasti di certe atmosfere di musica eterodossa tipo Les 4 Guitaristes de l’Apocalypso-Bar di André Duchesne e compagni. Su questo impianto timbrico Jessica Pavone espone le sue melodie all’archetto ricche di dolcezza e malinconia. Peccato una non perfetta calibratura del mixer che ha rischiato di far sovrastare il violino della Pavone dalla chitarra, in verità di maniera, di Fizpatrick.

Set interessante che porta il suo tassello al mosaico generale del festival.

Calda accoglienza del pubblico al trio franco-danese-tedesco Das Kapital che interpreta le mitiche song di Hanns Eisler. Qui la rivoluzione del grande compositore brecthiano si traduce in mille maniere musicali, dal free alla bossa nova, dal bandesco al jazz hot di Montmatre. Molti i volti per recitare comunque l’adagio lapidario di Eisler: “Il mondo è meglio senza il capitalismo” (come dargli torto…). I tre protagonisti del set sono bravi a ben teatralizzare in modo personale un repertorio così frequentato senza scadere nella retorica zdanaovista del Sol dell’Avvenire. Alla fine del percorso s’insinua un un blues che inevitabilmente ci porta all’Internazionale, mentre il pubblico, ormai conquistato dal racconto musicale, esplode in un grande applauso (evidentemente in sala non c’era Veltroni).

Dopo questi tre gruppi con musica di ottima fattura, a Saalfelden esplodono i grandi botti finali.

Lo stage ora appartiene ai Nels Cline Singers (Nels Cline chitarra e effetti elettronici, Yuka Honda tastiere, Trevor Dunn basso e Scott Amendola batteria). La musica è densissima, vibrante, capace di ipnotizzare l’ascolto con gli ambienti sonori creati dalle intromissioni elettroniche, dai quali scaturiscono impressionanti assoli della chitarra di Cline, che ancora una volta si riconferma come uno degli esecutori  di maggior valore per questo strumento . Tutto ciò è possibile naturalmente grazie alla solita granitica sezione ritmica assicurata da Dunn, benissimo coadiuvato da Scott Amendola ai tamburi. Dato che tutte le strade portano a Miles Davis, il finale rivive le atmosfere tirate dei Fillmore East e la mente corre a quel giovane John McLaughin, alfiere di quello che allora chiamavamo jazz rock.

Bravi, bene, bis.

Grandissima attesa peer il concerto di chiusura: loro sono i Bad Plus di Ethan Iverson al piano, Reid Anderson al basso e Dave King alla battteria. Già basterebbe questo a fare la felicità di ogni appassionato di musica che si rispetti Aggiungete però la voce del tenore di Joshua Redman al tutto e il miracolo è compiuto. Certamente non potevano esistere riserve sulla qualità artistica dei quattro, tra riconoscimenti vari e dischi pluripremiati, quanto i timori si incentravano sulla possibilità di inserire un sax così conclamato in un quartetto affiatato ormai da tanti anni senza scadere negli effettacci da festival “ All Stars!”

Grande merito va all’intelligenza di Redman di avere letto alla perfezione la complessità comunicativa di Iverson e compagni e di essere entrato in magnifica simbiosi con le intuizioni  del trio. Il risultato difficilmente può essere restituito a parole, tra dolcissimi temi portati con maestria da Redmane e trame ritmiche sciorinate dall’incredibile drumming di Dave King, tra tessiture raffinatissime ordite dalla tastiera di Iverson e il collante garantito dal contrabbasso di Anderson, assoluta colonna vertebrale dell’idea musicale complessiva . Il pubblico è basito e a fatica trattiene la commozione. Un concerto che da solo vale un festival, un set che fa capire quanto le vie del jazz siano infinite.

Cala la scena su di una chermesse che tra alti e bassi, ti lascia in testa quel motivetto…”Perchè Salfeelden è Saalfelden!”

Ps Anche quest’anno non siamo riusciti a recensire gli AlmKonzerte di Saalfelden, ovvero gli appuntamenti in altura. Ci dispiace molto, chiedere alle mucche.

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