Da una settimana tre musei lombardi rimangono chiusi o aprono a singhiozzo. È l’effetto della protesta delle lavoratrici e dei lavoratori in appalto, che si occupano della sorveglianza e dell’accoglienza nelle strutture e che hanno rifiutato di firmare un contratto peggiorativo, con una paga che dai miseri 6 euro lordi all’ora è scesa a 5. Di qui lo scatto di dignità che ha portato alla scelta di non firmare, con la conseguenza che i musei – tutti statali – non avevano sufficiente personale per aprire al pubblico, a riprova di quanto anche il sistema culturale italiano si basi sullo sfruttamento.

I musei lombardi restano chiusi per la protesta contro i salari da fame

Il caso sta interessando cinque musei della Valcamonica, tra Brescia e Pavia. In particolare, si tratta del Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane a Capo di Ponte, del Museo Archeologico Nazionale di Cividate Camuno, dellaVilla Romana di Desenzano del Garda, del Museo Archeologico Nazionale della Lomellina a Vigevano.
Tutte strutture che, per il loro funzionamento, utilizzano personale in appalto a cooperative esterne. E spesso negli appalti si susseguono avvicendamenti tra cooperative.

È tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre che è avvenuto il cambio di appalto. Ed è in questo momento che si è presentato il problema.
Secondo quanto ricostruito dalla Cgil, «nonostante sia la ditta uscente, sia quella aggiudicataria, che la Direzione Regionale Musei Lombardia sapessero da tempo del cambio appalto in atto, solo alle 15:30 del 30 novembre le organizzazioni sindacali sono state chiamate per la trattativa con la ditta aggiudicataria. Solo alle 18:30 dello stesso giorno i lavoratori sono stati contattati dal rappresentante della ditta per firmare i contratti di lavoro, tra l’altro presso il parcheggio di un centro commerciale».

Dopo aver atteso per due ore inutilmente, non essendosi più presentato nessuno, i lavoratori sono tornati a casa senza contratto, che è stato inviato via mail alle 21:15, con la richiesta da parte della ditta di firmarlo entro le prime ore della mattina successiva. Contratto di lavoro che presentava numerosi punti controversi, tra cui una retribuzione base oraria addirittura peggiorativa rispetto al contratto collettivo nazionale di riferimento dell’appalto precedente, compensata a ribasso da super minimi. La paga oraria lorda, infatti, scendeva da 6 a 5 euro.

Di qui il rifiuto di firmare il contratto, con la conseguente chiusura o limitazione di orario di diversi musei, a riprova di quanto quelle lavoratrici e quei lavoratori siano essenziali e quanto impropria sia la loro gestione in appalto.
«Ora siamo in fase di trattativa e probabilmente riusciremo ad alzare la paga oraria di qualche centesimo sopra i 6 euro – racconta ai nostri microfoni Elisa, una delle lavoratrici – Però dobbiamo firmare per non rischiare di essere sostituiti».

Anche se il contratto proposto non è nell’inquadramento giusto per quella tipologia di lavoratori, figura comunque tra quelli legali, sottoscritti dai sindacati confederali a livello nazionale. «Nessun lavoratore, anche con mansioni non specialistiche – osserva la lavoratrice – oggi dovrebbe essere pagato 6 euro lordi l’ora».
Il dito, però, è puntato anche sulla Direzione Regionale Musei Lombardia, quindi al Ministero, che rende possibile ciò attraverso bandi per appalti al massimo ribasso. Secondo quanto ricostruiscono i lavoratori in lotta, inoltre, la Direzione non ha nemmeno comunicato ai visitatori dei musei la mancata apertura.

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