Lo presentano come compromesso basato sulla flessibilità, ma in realtà la bozza proposta dall’Unione Europea per facilitare la diminuzione di gas serra entro il 2040 sembra più una ritrattazione d’intenti. Il documento, se accolto, introdurrebbe come novità più grande una clausola di revisione del target ogni due anni per rendere più flessibile la traiettoria, appunto, per accomodare eventuali nuove strategie sostenibili, implementare tecnologie all’avanguardia, ma anche vedere al ribasso gli obiettivi di disintossicazione dal fossile e rimandare ulteriormente le scadenze delle politiche ambientali.

L’Europa discute una flessibilità sul taglio alle emissioni climalteranti

Tale flessibilità permette all’Ue di lavorare con il medesimo obiettivo dichiarato (cioè tagliare le emissioni del 90% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2040), ma con la possibilità di inserire modifiche in corso d’opera da parte dei Paesi membri, che discuteranno anche dell’innalzamento della soglia d’acquisto di crediti extra-carbonio – cioè la possibilità per le nazioni europee di sostenere progetti sostenibili all’estero, qualora non riuscissero ad allontanarsi dal consumo fossile.

Il testo sarà discusso oggi e venerdì dal Consiglio dell’Unione Europea, per raggiungere un accordo per il quale è richiesta la maggioranza qualificata. Si tratta di una partita in cui l’Ue si sta giocando la propria credibilità, visto lo stallo politico, ma anche una grossa parte del futuro ambientale del nostro pianeta, diviso tra coloro che vedono la sostenibilità ambientale come una priorità, e chi la considera meno urgente o un fattore di poco conto.

Dal Green Deal ad oggi: cos’è cambiato negli obiettivi climatici?

La bozza è solo l’ultimo sviluppo di un ciclo tortuoso di mosse che l’Ue ha fatto riguardo l’ambiente. Lorenzo Tecleme, giornalista ambientalista, ci aiuta a comprendere come siamo arrivati a questo punto: «Nel 2019-2020, quando è nato il Green Deal, l’Europa ha iniziato a lavorare a una tabella dei tempi della riduzione delle emissioni, il quale target finale sono le zero emissioni nette entro il 2050. Nel mezzo ci sono gli obiettivi intermedi, che sono più importanti perché spingono la creazione di politiche più immediate per raggiungerli: il più vicino a noi è la riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030, e lo stiamo raggiungendo, mentre il dibattito si sta concentrando appunto sull’obiettivo del 90% di emissioni in meno entro il 2040. Tale dibattito avviene perché rispetto al 2019, la scena politica europea e globale è cambiata molto, perché non c’è più quella grande spinta per l’ambizione climatica, anzi con Trump da un lato e l’ascesa delle destre dall’altro, il tema ambientale sta scivolando via dalle agende politiche dei paesi».

Sebbene il target del 2040 sia «un buon obiettivo», le concessione dell’Ue ai paesi membri rischia di annacquare i progressi che stanno venendo raggiunti oggi: «Questa revisione biennale non è una grande notizia per il clima – commenta Tecleme – così come non lo è il graduale “ritorno” al fossile dei pesi massimi dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, ma anche la Francia e la Germania. La diffidenza verso le rinnovabili viene soprattutto dalla parte di cessazione del fossile che la sostenibilità ambientale comporta: se per la costruzione di nuove infrastrutture sostenibili la situazione è più semplice, chiudere gli impianti fossili e far sparire le macchine a benzina dalle strade, ad esempio, preoccupa di più la parte del mondo che guarda con ostilità alla transizione. Lo stiamo vedendo con le auto a benzina, il cui stop alla vendita era previsto per il 2030, mentre ora si sta parlando di rimandarlo».

Sebbene la flessibilità possa far felice le parti coinvolte, lo spazio di manovra è parecchio ridotto. Per Tecleme: «è una questione di bilanciamento, noi abbiamo la libertà di essere flessibili quanto vogliamo, è chiaro che poi la fisica dell’atmosfera è un po’ meno flessibile. Più emissioni buttiamo in atmosfera, più saranno gli effetti che vedremo, penso alle alluvioni che hanno colpito la Romagna in questi ultimi anni, a quella di Valencia l’anno scorso, ma anche alla siccità del Mezzogiorno. Si tratta di decidere quanto vogliamo difendere gli interessi dell’industria fossile e quanto siamo disposti a sacrificare in termini di industria agricola o di anche vite umane rispetto agli eventi meteorologici estremi».

«Dunque – continua il giornalista – credo che la flessibilità vada incastrata nei limiti fisici sui quali non possiamo negoziare, così come vanno incastrate quelle visioni conservatrici che vedono nella progressiva riduzione dell’industria fossile un danneggiamento dell’economia europea. Anche il settore delle relazioni internazionali tende a sottostimare questi limiti fisici: la scelta di rifornirci di gas statunitense non è conveniente né dal punto di vista ecologico, poiché estratto con la tecnica molto inquinante del fracking, né dal punto di vista economico, perché va liquefatto e poi regassificato».

ASCOLTA L’INTERVISTA A LORENZO TECLEME: