È stato presentato come un “piano per la pace” a Gaza, ma la forma con cui l’ha presentato il premier israeliano Benjamin Netanyahu è più da ultimatum: «Il piano può essere fatto nel modo facile o difficile, ma sarà fatto. Se Hamas rifiuterà, Israele lo porterà a termine da solo».
Così, la proposta del presidente statunitense Donald Trump, concertata con l’alleato di Tel Aviv, da una parte prevede che Hamas garantisca la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani entro tre giorni e il disarmo completo delle sue milizie, che cederanno il territorio per permettere l’insediamento di un governo tecnocratico e apolitico. Dall’altra, Israele promette il rilascio circa 1.700 gazawi e 250 ergastolani, il ritiro delle truppe dell’Idf, l’amnistia per i membri arresi di Hamas, lo scongelamento degli aiuti umanitari e il rilancio economico e infrastrutturale per Gaza.
Il tutto passerebbe sotto la supervisione di un “Consiglio per la Pace” per sorvegliare la transizione politica e la ricostruzione della Striscia. Tuttavia, la permanenza di un organismo simile toglierebbe sovranità al popolo palestinese, che di fatto non otterrebbe nel futuro prossimo uno stato autonomo («Israele non prevede uno Stato palestinese nel piano», ha dichiarato Netanyahu). Inoltre, i venti punti del piano sono esposti in modo ambiguo e sfumato, soprattutto per i tempi e le modalità del ritiro delle truppe di Israele alla Striscia di Gaza.
Gaza, «il piano di Trump e Netanyahu è strategia neocoloniale»
Giuseppe Acconcia, giornalista e docente di Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova, afferma ai nostri microfoni «il piano è un passo indietro per la Palestina: anche se si raggiungesse il cessate il fuoco, le persecuzioni verso i palestinesi continuerebbero. Per quanto ci sia la possibilità di fermare le azioni di pulizia etnica nell’immediato, questo non garantirebbe per nulla l’incolumità futura dei palestinesi».
«Netanyahu e Trump hanno imbastito una strategia neocoloniale – aggiunge Acconcia – come dimostrato dal Consiglio per la Pace, guidato da figure controverse come Trump stesso e Tony Blair, associato con il disastroso conflitto in Iraq. Si tratta di potenze straniere, coloniali, che decidono la sorte dei palestinesi, ma un governo tecnocratico che esclude sia Hamas sia l’Autorità nazionale palestinese non porterà alla cancellazione delle ideologie che finora hanno alimentato Hamas».
Il più grande limite di tutto il piano, però, è la mancata concessione di uno stato palestinese, obiettivo massimo per garantire autonomia e protezione giuridica e materiale alla popolazione di Gaza. Acconcia ammette che «ogni piano che impedisce la nascita dello stato di Palestina è destinato a fallire e ad avere un impatto nullo nel lungo termine, come testimonia la situazione tesa degli ostaggi tra Israele e Hamas».
Infine, il ruolo dell’Europa appare ridimensionato anche questa volta, perché è stata esclusa dall’incontro a Washington e sembra essere costretta nel sedile dello spettatore. Avverte Acconcia: «L’Europa rischia nuovamente di essere subordinata alle decisione prese da Trump e di non avere un ruolo efficace, come testimonia la differenza di approcci dei singoli stati europei. Quello su cui l’Ue dovrebbe premere è la fine dell’assedio, l’ingresso degli aiuti umanitari, della stampa e sostenere le iniziative della società civile, prima tra tutti la Global Sumud Flotilla».
ASCOLTA L’INTERVISTA A GIUSEPPE ACCONCIA: