Le aziende potranno controllare computer, tablet e cellulari, così come i badge dei lavoratori senza che sia necessario un accordo sindacale o un’autorizzazione del ministero. Per il controllo sugli «strumenti» di lavoro aziendale basterà informare i lavoratori. Cambia così, con un altro dei decreti attuativi del Jobs act, la disciplina dei controlli a distanza, che riscrive lo Statuto dei lavoratori. Dura la reazione dei sindacati
Jobs Act: come ti trasformo il lavoro in 1984
Un altro colpo basso per lo Statuto dei lavoratori. Con un decreto attuativo del Jobs act, viene riscritta la disciplina del controllo a distanza, prevista dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori del 1970.
Con il Jobs Act, le aziende sono autorizzate a effettuare controlli a distanza sui propri dipendenti attraverso impianti audiovisivi senza richiedere un preventivo accordo con il sindacato di competenza. L’unica “accortezza” del datore di lavoro è informare i dipendenti che gli strumenti assegnati sono controllati. Ai nostri microfoni, Giorgio Airaudo, deputato Sel ed ex segretario nazionale Fiom, esprime la sua preoccupazione: “Il fatto che lo possano fare, già di per se, è sbagliato. È normale che un lavoratore riceva, sul telefonino aziendale, una chiamata familiare o privata”. Il datore di lavoro, con il potenziamento di nuovi software, può controllare il tempo di attività dei computer, “può osservare una persona: quante volte si sposta, dove va e cosa fa”.
Le regole sono “leggermente” diverse per l’installazione di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo: in questi casi serve l’accordo sindacale. Se le imprese contano più unità dislocate in diverse regioni, l’autorizzazione spetta al Ministro del lavoro. Il controllo delle attività dei lavoratori possono essere impiegati per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale. Ma è chiaro che da qui al controllo della vita privata del lavoratore, il passo è breve.
Non c’è chiarezza sull’utilizzo dei dati raccolti. Il materiale a disposizione del datore di lavoro, si legge nella presentazione, può essere utilizzato “ad ogni fine connesso al rapporto di lavoro, purché sia data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli, sempre, comunque, nel rispetto del Codice privacy”. Per Airaudo “questo è davvero un uso infinito, legato alla potenza delle applicazioni. Ecco perchè era indispensabile l’accordo sindacale per tutelare i lavoratori. Qualunque informazione facilmente reperibile sui comportamenti privati può diventare un buon pretesto per il licenziamento. “È una mano libera che può far pensare il peggio, al di la del buon senso. I lavoratori sono meno cittadini e meno liberi”.
I sindacati hanno promesso battaglia. Sdegnata la reazione della Cgil che ha dichiarato: “Sui controlli a distanza siamo al colpo di mano”. Adesso, il dibattito passa in Commissione che può dare solo un parere consuntivo, di cui il Governo può tenere conto o meno. “È stato un errore concedere all’esecutivo la delega ‘scrivi cosa vuoi’ su un principio generale. Il Governo che si vantava di modernare le regole in realtà, ha smantellato un pezzo dello Statuto dei lavoratori. Hanno sbagliato quei deputati che hanno votato fidandosi del buon senso del Governo”. Oltre il danno la beffa perchè alcuni deputati hanno dichiarato che di non aver letto il decreto attuativo.
Questo potrebbe essere l’ennesimo regalo di Renzi ai cosidetti “furbetti” che utilizzano il Jobs Act per licenziare i dipendenti e intascare gli sgravi fiscali. “Secondo me è peggio – conclude Airaudo – Io non capisco come questo provvedimento possa dare nuovi posti di lavoro o migliorare la produttività. Un gesto di arbitrio, una mostruosità che spero si possa correggere”.
Daniela Larocca