Se sull’attacco all’ospedale di al Ahli, che ha provocato oltre 500 morti, continua il rimpallo di responsabilità tra Israele e Hamas, la condotta dell’esercito israeliano eccede sia il diritto alla difesa che la lotta al terrorismo. Dopo aver intimato, sul finire della settimana scorsa, al milione e 100mila cittadini palestinesi residenti nel nord di Gaza di abbandonare le proprie case e spostarsi al sud, l’aviazione israeliana sta bombardando anche le cittadine meridionali della Striscia.
Ce lo conferma Khaled Abu Ghali, infermiere e dipendente del Ministero della Sanità di Gaza, che è stato svegliato nella notte da bombardamenti a Rafah City, poco distante da casa sua.
Israele bombarda anche il sud di Gaza: non ci sono luoghi sicuri nella Striscia
Il primo tentativo di corrispondenza con Khaled Abu Ghali si interrompe dopo pochi minuti a causa dei disturbi alla linea internet dovuti ai recenti attacchi e ai droni che sorvolano il suo quartiere, nella città di Rafah. A mezzanotte della notte scorsa, poco dopo l’attacco all’ospedale al Ahli che ha causato oltre 500 morti, una casa vicina alla sua abitazione è stata distrutta dalle bombe. Il distretto in cui si trova la casa di Khaled è una delle zone dove si sono rifugiati gli abitanti del Nord della Striscia di Gaza in seguito all’evacuazione intimata da Israele. È una di quelle zone che avrebbero dovuto essere sicure ed offrire rifugio ai civili. Così come l’ospedale battista di al Ahli, dove in molti avevano cercato protezione dai bombardamenti.
Per Abu Ghali non ci sono dubbi rispetto alla responsabilità israeliana, e anzi l’attacco all’ospedale al Ahli non è completamente inaspettato. «A molti ospedali era stato intimato di evacuare gli edifici nei giorni passati – racconta Abu Ghali – ignorando il fatto che significherebbe abbandonare i pazienti e i feriti. Ma questo significa che ieri Israele ha effettivamente applicato una decisione che aveva già considerato, ovvero il bombardamento degli ospedali».
Mentre il bilancio delle vittime palestinesi si aggrava di ora in ora, gli ospedali continuano a vivere una condizione di grande criticità, con la sospensione imminente della fornitura elettrica e le conseguenze drammatiche che essa può comportare per le persone ricoverate e per i 13mila feriti che il conflitto ha già provocato.
Nel sud della Striscia la situazione non va meglio per le strade. La mancanza di acqua potabile, nell’area che al momento sta gestendo l’altissimo numero di rifugiati evacuati dal nord, con oltre 400mila persone accolte in scuole e punti di raccolta, rende drammatica la crisi umanitaria in corso.
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Anna Uras