Il 18 luglio del 1918 nasceva Nelson Mandela. Il testamento del leader sudafricano contro l’apartheid viene disatteso da nuove forme di emarginazione e segregazione, che fioriscono anche in Italia. Gli interventi dell’ambasciatore sudafricano Shirish M Soni, Carlo Stasolla dell’Associazione 21 luglio e Giovanni Beccari di Cefa Onlus. I campi rom finanziati dalla Lega, che ora vuole demolirli. La città è campo di battaglia contro i poveri, segregati ai margini.

Il 18 luglio 1918 a Mvezo, un borgo rurale del Sudafrica, nasceva Nelson Mandela. A cento anni di distanza, il Paese e tutto il mondo celebra la figura del leader anti-apartheid, che ha resistito a 27 anni di carcere e ad accuse inesistenti e diffamanti di terrorismo per tornare e vincere la battaglia contro la segregazione delle persone nere.
Mandela ci ha lasciati nel 2013, ma i suoi insegnamenti sono più vivi che mai. In particolare, come ricorda ai nostri microfoni Shirish M Soni, ambasciatore sudafricano in Italia, ad essere fondamentale è l’approccio non-violento e scevro da sentimenti di rivalsa che Mandela ha mantenuto fuori dal carcere.

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Anche Bologna ricorderà la figura di Nelson Mandela. In particolare, la collaborazione tra Cefa onlus ed Estragon ha permesso di dare vita a quattro serate, dal 18 al 21 luglio, al Botanique (che per l’occasione diventerà BOAfrique) che permetteranno all’organizzazione umanitaria di finanziare i propri progetti in Mozambico, dove le donne vengono assistite e avviate all’allevamento di bovini come forma di autosostentamento.
Durante la settimana sarà in vendita una t-shirt dedicata a Mandela con la frase “Education is the power to change the world“.

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Il testamento di Mandela, però, sembra venire disatteso in diverse parti del mondo, dove le minoranze vengono ancora emarginate e perseguitate.
Il problema non riguarda solamente i cosiddetti Paesi in via di sviluppo o nazioni governate da dittatori, ma anche in contesti considerati democratici trova spazio una qualche nuova forma di discriminazione.
“Esistono ormai diversi studi scientifici, ma anche documenti di commissioni europee e delle nazioni unite che affermano come in Italia ci sia una forma di apartheid verso le comunità rom“, afferma ai nostri microfoni Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio.

L’apartheid italiano contro i rom avviene su due principali fronti: quello scolastico e quello abitativo. Nel primo caso si traduce con scuole speciali per bambini rom, un capitolo a parte nelle linee guida del Miur, in cui i rom vengono considerati stranieri, o negli scuolabus speciali, fino a non molto tempo fa marchiati con la lettera “N” di “nomade”.
Ancora più eclatante è la questione abitativa, su cui la propaganda ha costruito una narrazione stereotipata che ha addirittura invertito la realtà. “I campi rom sono un dispositivo urbano tipicamente italiano – spiega Stasolla – non presente o presente in modo irrilevante in altri Paesi europei, pensato per concentrare le persone e segregarle, separarle dalla società“.

Non è vero, quindi, che i rom preferiscono vivere nelle proibitive condizioni dei campi perché non vogliono integrarsi nella società.
E, sempre a proposito di debunking di stereotipi, è curioso sapere che l’ultimo investimento istituzionale consistente per la costruzione di campi rom è stato fatto da un governo di cui faceva parte quella componente che oggi evoca la ruspa. “Il governo Berlusconi con ministro Maroni investì 100 milioni di euro per la costruzione di campi rom – osserva Stasolla – Attualmente nei campi vivono 26 mila persone ed è giusto che si vada verso il superamento di quelle strutture”. L’importante, però, è come: il modo corretto è la chiusura con percorsi di inclusione, non certo con la ruspa che, oltre a ledere i diritti umani, sposta solo il problema in un’altra zona delle città.

Sebbene l’attenzione mediatica e politica oggi sia concentrata sui richiedenti asilo, nelle sue incalzanti dichiarazioni il ministro degli Interni Matteo Salvini ha trovato il tempo di sparare anche su rom e sinti, categorie che mantengono un forte stigma sociale. Salvini ha evocato una schedatura, salvo poi correggere il tiro dopo la levata di scudi e le osservazioni sull’incostituzionalità di un provvedimento del genere.
Eppure le dichiarazioni di Salvini un effetto lo hanno prodotto. “A Reggio Emilia e in alcune province delle Marche – fa sapere Stasolla – le questure hanno chiesto elenchi di rom e sinti”.

Tra le forme di apartheid contemporanee, però, si fa strada anche un fenomeno relativamente nuovo. La sociologa spagnola Adela Cortina ha coniato un termine per definirlo: “aporofobia”, cioè la paura verso i poveri.
L’indigenza, in effetti, è il carattere distintivo di diverse categorie bersaglio di odio e la segregazione, l’allontanamento e la rimozione sembrano essere le soluzioni tanto evocate dai cittadini benestanti quanto praticate da amministrazioni e governi.
In questo caso il campo di battaglia è diventato la città, dove la salvaguardia del commercio e del turismo sono diventati utili pretesti, insieme ai fenomeni di gentrificazione, per allontanare i poveri. In questa guerra, al “fai-da-te” delle ronde contro i senza fissa dimora si è affiancato uno strumento legislativo: il daspo urbano introdotto dalla legge Minniti-Orlando.

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